Ancora, grazie

Sassari, campione d’Italia. Suona pure strano, sinceramente: l’albo d’oro del campionato raramente ha lasciato spazio alle cenerentole, che al massimo arrivavano in finale, spezzandosi sul più bello. Quest’anno, dopo la scomparsa di Siena e l’uscita di Milano in semifinale, di apprendiste regine ne avevamo due: Sassari e Reggio Emilia, Dinamo e Reggiana. Ognuna coi suoi pregi e i suoi difetti, entrambe senza scudetti: chiunque avrebbe scritto la storia, in caso di successo, ed è stato bellissimo così.

Esce a testa altissima Reggio, falcidiata da infortuni e defezioni, francamente sulle gambe. D’obbligo il plauso per coach Menetti, capace di portare a gara 7 di finale un gruppo incerottato e stremato, praticando una pallacanestro razionale, sbarazzina, di squadra.

La Reggiana ha dato del filo da torcere a una Dinamo alla vigilia descritta da tutti nettamente superiore, sul piano fisico, dell’intensità, del talento individuale. Che poi era così, ma lo scudetto puoi giocartelo anche con la sfacciataggine, il sogno dei giovani azzurri (cui auguro di rifarsi in settembre, magari!), una compattezza senza precedenti.

Se Reggio è mancata sul più bello, Sassari di morire ha rischiato più e più volte. Già in semifinale, per esempio: da 3-1 e 3-3 con due match point vanificati, contro l’Olimpia costruita per divorarsi il campionato e azzannare l’Eurolega. Chiunque al Forum, in quella “bella”, sarebbe crollato, ma i biancoblù no: perché poi qualcosa ti scatta e senti l’appuntamento con la storia.

Che dire, poi, di una serie finale iniziata non male ma malissimo? Dinamo troppo brutta per essere vera, Dinamo tradita dal calo d’adrenalina del dopo Milano. Dinamo non solo tradita, ma proprio travolta: 2-0 secco, perennemente fuori partita. Da un possibile funerale alla riscossa il passo è stato breve; l’ansia dei supplementare, le partite ogni 48 ore, gli share televisivi in aumento: Sassari c’è stata e alla fine ha vinto, Reggio un pezzo di tricolore ce l’ha pure lei.

Peccato, per davvero, che solo una potesse prendersi lo scudetto: mai come stavolta due vincitori ci sarebbero stati, per l’equilibrio, le scosse, i punteggi sempre in bilico nelle partite più importanti.

Poi sì, è vero, questa Serie A è l’opaco riflesso del campionato che fu, è scesa tantissimo di livello, finiti i soldi e la presenza delle grandi storiche. Ma per una sera, chi se ne frega: festeggi Sassari, si batta il petto Reggio, riflettano gli altri.

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Matteo Portoghese