Il Portogallo segna, l’Italia è avanti contro l’Inghilterra, manca una manciata di minuti al termine, e che succede? La Svezia trova il pareggio, e gli azzurrini salutano l’Europeo under-21. Il biscottone sembra servito, e in effetti nessuno si sente in grado di dire, con assoluta certezza, che tra portoghesi e svedesi, a cui bastava un pari per passare entrambi in semifinale, non ci sia stata una sorta di “prego si accomodi/dopo di lei” utile a sbattere fuori l‘Italia.
Chiaramente, dunque, si è parlato di biscotto. A mente fredda, però, la vera causa di tutto è da ricercare solo e soltanto nell’immaturità dei ragazzi di Di Biagio. Perché l’Italia – una delle nazionali con più talento della competizione, possiamo dirlo senza problemi – ha grossolanamente peccato di cattiveria e ingenuità, mancando l’appuntamento con la vittoria sia alla prima giornata, contro quella Svezia che ci ha salutati ed è volata via, e poi contro quel Portogallo, alla seconda giornata, in un’altra partita che poteva, doveva, essere azzurra. Peccato. Si torna a casa leccandosi le ferite, con Di Biagio che dice di non sapere ancora quale sarà il suo futuro, con l’Italia che non si qualifica alle Olimpiadi di Rio, con la Svezia che ancora una volta (dopo il pari con la Danimarca del 2004, lo ricordate?) ci elimina con tanto di pernacchia.
Serva da lezione, tutto ciò. Perché se è vero che il calcio sta cambiando, è verissimo che le regole storiche del pallone non cambiano mai: testa e cuore bisogna metterceli sempre, sin dal primo minuto della prima partita. Cosa che gli azzurrini non hanno fatto, cadendo ingenuamente nel tranello di quell’overconfidence (scusateci l’inglesismo, ma si chiama così, in gergo) che nello sport causa parecchi drammi. La nostra nazionale sapeva di essere forte, ma non ha saputo dimostrarlo. La nostra nazionale sapeva di essere una delle più forti (Di Biagio stesso, a posteriori, ha dichiarato che puntava a vincerla, questa coppa), ma è crollata sotto i colpi di squadre meno qualitative ma paradossalmente più concrete. Meno montate, più grintose.
Male, dunque, l’Italia. Male nelle prime due partite, bene nella terza, quando oramai era troppo tardi. Quando il pari tra Portogallo e Svezia era più che annunciato. Il cuore, come al solito, è uscito troppo tardi. Nelle prime due sfide, a farla da padrona è stata quella spocchia che oramai nel calcio è protagonista, perché il calciatore – giovane o maturo che sia – sembra scendere in campo per l’immagine prima, e per vincere poi. Messi alle strette, arrivati alla “o la va o la spacca”, eccolo lì che infine esce il cuore, e lo vedi esplodere contro un’Inghilterra che non è neanche l’ultima delle scappate di casa. Tardi, però, come detto. Perché si vince, ma si torna a casa. E tutti in vacanza.
La nostra Under-21 non ha saputo confermarsi, non ha saputo fare bene quanto quella del 2013, arrivata in finale e crollata sotto i colpi di una (ben più forte) Spagna. Che serva da lezione, quest’eliminazione. D’altronde, più si è giovani e più presto si apprende, no? Cambio di rotta immediato, urla in testa, sangue agli occhi da parte di Di Biagio. Se l’Italia calcistica vuole un futuro, deve saperselo costruire, e ora come ora – senza Europei né Olimpiadi – non possiamo dire che il lavoro proceda a gonfie vele.
Post scriptum: alla vigilia della prima gara, Di Biagio aveva dichiarato: “La Svezia mi porta bene”. Non proprio un futuro da chiromante, direi.