E, così, anche in Italia si inizia a parlare più compiutamente di TPO, acronimo inglese per Third Part Ownership (benché il termine ownership, “proprietà”, rappresenti una forzatura), le società terze che gestiscono gli interessi dei calciatori. Dovevamo attendere che un club come il Milan entrasse nell’area di interessi di Doyen Sports Investments affinché l’argomento approdasse alle prime pagine dei giornali, dopo aver attirato soltanto addetti ai lavori particolarmente attenti. In Italia qualcuno ne scrive da tempo, a partire da quel Pippo Russo che, oltre un anno fa, con il libro Gol di rapina. Il lato oscuro del calcio globale (Edizioni Clichy) e una serie di interventi pubblicati da più testate (una buona crestomazia è reperibile presso il suo blog cercandoblivia.wordpress.com), ha posto per primo il problema.
Adesso che Doyen (gruppo finanziario che solo in un secondo momento si dedica allo sport e di cui è indaginoso tracciare la storia) allarga i propri interessi al panorama italiano, ecco che s’iniziano a leggere articoli tutto sommato concilianti: l’impressione è che vi sia un’evidente volontà d’indorar la pillola, di presentare in modo asettico e apprezzabile (la benevolenza circa l’ex p.r. discotecaro Nelio Lucas − foto in evidenza − ne è fulgido esempio) i possibili sviluppi del mondo calcistico a tifosi e appassionati. Complice la crisi economica e la conseguente serie di anemiche sessioni di calciomercato, lo sbarco italiano di Doyen viene presentato come un progresso, toccasana per la protratta frustrazione di tifoserie che guardano all’Atlético Madrid (società gran beneficiaria dei servizi del gruppo di sede maltese; non è la sola) quale auspicabile miglioramento rispetto alla mestizia presente.
Non si tratta di lanciare anatemi contro gli assetti potenziali del calcio contemporaneo: l’argomento è tutt’altro che semplice, i legami intricati e anche il buon vecchio consiglio di seguire il filo del denaro per comprendere cosa stia accadendo è di pratica difficile, ché nel gioco delle tre (anzi, più) carte scatenato dai fondi è probabile perdere la bussola. Di certo, si può rimarcare come l’esistenza di società che lucrano sulla base del movimento di calciatori possa generare mercati drogati dalla necessità d’incrementare, ben oltre le comprensibili esigenze sportive, non solo le sessioni dei trasferimenti, ma anche impattare sul regolare svolgimento delle competizioni. E Doyen Sports, partita dal Sudamerica e approdata in Europa tramite la Spagna a fine 2011, si configura come un’estesa ragnatela d’interessi tra Portogallo, Turchia, Brasile e, adesso, Italia, con preoccupanti possibilità di ricatto.
Timori coltivati dagli apocalittici (cui pure chi scrive sente in qualche modo d’appartenere) troppo inclini all’allarme? Gli integrati replicano placidi che è il mondo, bellezza, rimarcando, non senza ragioni, come certe contraddizioni siano in essere da tempo. Basti pensare al caso di Cesare Geronzi che, tramite Capitalia, controllava Lazio e Roma tra fine anni Novanta e primi Zero, periodo tra i più complicati e oscuri del calcio che abbiamo osservato da vicino. Ma ci pare miope scusare una stortura mediante la rivendicazione d’una stortura precedente. E, in effetti, da più parti sta emergendo la necessità di porre rimedio alla situazione e ai suoi probabili sviluppi.
In tal senso, encomiabili, ma anche commoventi, suonano le mosse, a dir poco tardive, della UEFA: è norma che l’intervento legislativo giunga in ritardo rispetto alle situazioni da sanare, ma, in questo caso, l’impressione è che si cerchi di serrar le stalle quando i buoi son già dispersi. Il denaro, oggi, è rapidissimo e la finanza calcistica pare aver già individuata la nuova frontiera: commerciare non in atleti, ma in club, un nuovo livello di calciomercato a eludere i divieti escogitati contro le TPO. Niente di inedito, anche in Italia: si pensi alle multiproprietà di Lotito, tra Lazio e Salernitana, al vecchio Gaucci (un rustico dilettante confrontato agli squali contemporanei) con Perugia e Viterbese, sino a una delle società in questo senso più “moderne” d’Europa, l’Udinese dei Pozzo che, ormai, rappresenta una holding di tre club in altrettante importanti leghe europee (il Granada in Liga e il Watford fresco promosso in Premier League). Siamo sicuri che tutti vada bene così?
Molta confusione sotto il cielo. Con tifosi e appassionati ad assistere, sperare, spendere, per un gioco che gestito ben al di sopra le loro teste, con regole poco o nulla comprensibili, alimentando l’equivoco che, da sempre, questo sport: passione e guadagno, identificazione e profitto, valori e valute. Difficile prevedere gli sviluppi: di certo, non possiamo sentirci tranquillizzati dallo sbarco italiano di Doyen, tutt’altro: l’ipotesi più probabile è che il Milan divenga un (importante) satellite presso cui far trascorrere talenti da valorizzare, sino al salto nei “veri” grandi club. Meglio della patetica commedia di questi ultimi anni, ma sembra davvero triste festeggiare per questo.
Chi vivrà, vedrà, all’inizio di un mercato che saluta Carlitos Tévez: campione vero, prezioso e calcisticamente intelligentissimo, ritorna al Boca Juniors per chiuder la carriera con la camiseta del cuore. Lui, che da lì era partito (uno dei molti eredi designati di Maradona prima che arrivasse la Pulga e campione del mondo a squadre nel 2003, contro il Milan) e che in Europa ha costruito un’ottima carriera cui, forse, avrebbe potuto e dovuto chiedere di più. Lui che, con Mascherano, fu protagonista di due tra i più peculiari trasferimenti internazionali del tempo, approdando prima al Corinthians e poi al West Ham, senza che stampa e tifosi riuscissero a spiegarsi come una media squadra inglese potesse accaparrarsi due tra i migliori talenti mondiali dell’epoca, caso che ha rappresentato la prima grande manovra riconducibile alle TPO.
Adios Apache, e grazie di tutto, ricordiamo con piacere il sorriso alla domanda se ti avrebbe potuto spaventare l’idea di indossare il numero 10 di Del Piero, tu che, con tutto l’affetto per Pinturicchio, avevi sopportato un diez un filo più pesante. Ci mancherai, ma saperti a correre e dannarti per i Xeneizes ci pare, in ogni caso, un esito che, almeno un poco, scalda il cuore. Ne abbiamo bisogno.