Il GP dell’Austria nella storia: i fischi e gli applausi
Il Gran Premio d’Austria vanta una tradizione ultra-cinquantennale.Il tracciato, dove domenica si disputerà l’ottava gara del calendario, appare, a causa delle modifiche e delle evoluzioni, come un vago riflesso dello storico Österreichring. Fu grazie alla vicinanza con l’aeroporto di Zeltweg che, negli anni ’50, gli austriaci decisero di progettare un autodromo, sfruttando alcune piste inutilizzate dell’aerodromo cittadino.
Il primo sperimentale approccio con la Formula 1 si ebbe nel 1963, mentre il battesimo ufficiale avvenne l’anno seguente. La vittoria di Lorenzo Bandini su Ferrari rimase unica per un lustro. Fino al 1970 l’autodromo venne infatti stato destinato alle vetture Gran Turismo, a causa delle condizioni dell’asfalto ritenute inadatte per le monoposto a ruote scoperte.
L’inaugurazione, nel 1969, dell’Österreichring, edificato anch’esso in prossimità dell’aeroporto, inserì definitivamente l’Austria nella geografia della classe regina della Formula 1. Dal 1970 vi si svolsero ininterrottamente 18 gare, fino all’interruzione, nel 1987, per motivi di sicurezza. Nonostante il rinnovo e l’adeguamento messi in atto, il circuito non venne ritenuto idoneo finché, nel 1995, l’ingegnere Hermann Tilke decise di intervenire.
Tilke, autore degli autodromi della nuova generazione, quali Malesia, Cina e Abu Dhabi, apportò una serie di modifiche che resero la pista conforme alle indicazioni della FIA. Nel 1997, con il nome di A1-Ring, in onore alla compagnia telefonica finanziatrice dei lavori, l’Austria rientrò nel calendario della Formula 1, sebbene per sole sette edizioni, fino al 2003. L’ingresso in scena della Red Bull, oggi proprietaria del complesso, parrebbe garantire finalmente un futuro stabile. Oggetto di un profondo rinnovamento, il circuito venne inizialmente destinato a competizioni DTM, per poi essere inglobato nel campionato di Formula 1 nel 2014.
Nella storia recente spiccano due edizioni la cui lettura travalica il semplice gesto sportivo e le rende quasi simboliche della parte oscura e di quella luminosa della Ferrari e del suo pilota più rappresentativo e vincente degli ultimi 20 anni, Michael Schumacher. L’edizione del 2002 viene da molti ricordata per l’ordine di scuderia che costrinse Rubens Barrichello a cedere il primato al suo capitano, in lotta per il Mondiale. Il pilota brasiliano, incalzato via radio negli ultimi giri dai moniti della scuderia del Cavallino Rampante, decise di far passare il compagno a pochi metri dal traguardo. Con la platealità di quel gesto sembrò inconsciamente omaggiare il connazionale Ayrton Senna che, anni prima in Giappone, permise a Berger di vincere in ossequio alle decisioni prese dai vertici della McLaren.
Allo sventolio della bandiera a scacchi seguì un’inevitabile ondata di polemiche, alimentate, paradossalmente, dalla decisione di un fischiatissimo Schmacher di salire sul secondo gradino del podio, lasciando al brasiliano il primo e il trofeo della gara. La Ferrari venne sanzionata per aver infranto le procedure della cerimonia della premiazione, ma non ricevette alcuna multa per la condotta tenuta durante la gara. Schumacher partì dall’Austria circondato da una cacofonia di fischi, metaforici e reali, che meno di 12 mesi dopo, si sarebbero traslati in applausi scroscianti.
L’anno seguente la Ferrari si presentò nuovamente come favorita per la vittoria del Gran Premio e per il trionfo finale. Il sabato le qualifiche non presentarono sorprese, con Schumacher che agguantò la pole per pochissimi centesimi di vantaggio sulla McLaren di Räikkönen. La domenica invece anticipò fin dalla partenza il prepararsi di una gara folle e indimenticabile. Le vetture poterono infatti scattare solo dopo due tentativi, abortiti a causa di problemi manifestati da alcune monoposto. Il vero colpo di scena avvenne però durante il primo pit stop. I meccanici della casa di Maranello decisero di utilizzare sulla Rossa del tedesco il medesimo bocchettone usato per il rifornimento a Barrichello. Alcune gocce di benzina, rimaste sull’imboccatura dopo la sosta appena effettuata, a contatto con le parti roventi della carrozzeria presero fuoco, scatenando una fiammata che avvolse la coda della Ferrari propagandosi quasi all’abitacolo.
Nel fermo-immagine di quegli attimi vi è l’essenza di Michael Schumacher. Immobile nell’attesa che i meccanici risolvano il contrattempo e pronto a scattare, come un centometrista sospeso fra la tensione della partenza e la liberazione del colpo di pistola. I meccanici, verso cui il tedesco spese sempre parole di stima e fiducia, spensero il principio d’incendio in pochi secondi, permettendogli di ripartire senza alcun danno. L’inconveniente, complice il ritiro di Juan Pablo Montoya in quel momento in testa a pochi giri dalla fine, non pregiudicò la vittoria finale. Sul podio Schumacher, alla vista degli appassionati festanti, forse sorrise ripensando ai fischi dell’anno prima, la cui eco si era così affievolita da farli ormai sembrare irreali, quasi si fosse trattato di un ingannevole scherzo della memoria.