Il curioso caso di Mateo Kovačić
Eppure sembrava una di quelle belle storie d’amore. Un diciottenne dalle rare capacità tecnico-calcistiche, l’approdo all’Inter per undici milioni di Euro più quattro di bonus, l’entusiasmo dei tifosi, la maglia numero 10 sulle spalle, un futuro glorioso davanti.
Era il gennaio 2013 e Mateo Kovačić, centrocampista croato classe 1994, si apprestava a iniziare la sua avventura con i colori nerazzurri con tutti i favori dell’opinione pubblica.
Oggi è il 15 giugno 2015 e Mateo Kovačić è al centro di numerose voci di mercato che lo vedono praticamente sicuro partente (con probabile destinazione Liverpool) per poter rimpinguare le casse nerazzurre e poter fare un mercato in entrata decente.
Ma cos’è successo nel frattempo? Cosa è accaduto in questi due anni e mezzo da far passare il talento croato da “futura bandiera del club insieme a Icardi” a “unico possibile partente per fare cassa senza troppi rimorsi”?
La maggioranza del tifo interista lo mal sopporta, è innegabile. Kovačić è accusato di scarso impegno, scarsa personalità, scarsa autorevolezza e scarsa decisività in campo. Gli si imputa, inoltre, di nascondersi dietro gli avversari, di non avere il coraggio necessario per prendere in mano le redini del gioco e di, sostanzialmente, non essere quel talento cristallino da tutti descritto appena sbarcato a Milano.
Un po’ troppo, forse. Anzi, senza il forse.
Mateo Kovačić, nella sua vita all’Inter, ha avuto tre allenatori: Stramaccioni, tecnico ancora inesperto con notevoli lacune tattiche, Mazzarri, amante del centrocampo muscolare, della difesa a cinque e delle ripartenze, e Mancini, uomo di esperienza che sta provando a dare un’idea di gioco propositiva — impresa ancora non riuscita, ma bisogna dargli la possibilità di impostare una squadra fin dalla preparazione estiva — ai nerazzurri.
Nessuno dei tre è riuscito ancora a valorizzarlo appieno: il primo gli aveva dato le chiavi del gioco e del centrocampo, ma non lo supportava con tattiche adeguate; il secondo lo vedeva trequartista e lo incolpava pubblicamente in caso di brutta prestazione della squadra; il terzo ci sta lavorando, va detto, ma l’opera è ancora incompleta.
Quello che, però, è sempre parso palese agli occhi degli amanti del calcio è la classe innata di cui è dotato il giocatore. Il croato ha cambio di passo, visione e una capacità di verticalizzare che pochi hanno al mondo, oltre che margini di crescita enormi. La sua naturale evoluzione potrebbe essere quella di regista moderno o di mezzala di manovra, capace dell’ultimo passaggio “ammazza difese” o del dribbling decisivo per portare la superiorità numerica nella trequarti avversaria. Ha esperienza internazionale nonostante la giovane età (20 presenze in Champions League con la Dinamo Zagabria, 12 in Europa League con l’Inter e 21 con la Nazionale maggiore Croata, con cui ha partecipato agli ultimi Mondiali in Brasile, per un totale di 197 presenze tra club e Nazionali da quando è professionista), ma si continua a sentire/leggere che “deve crescere”, “deve maturare”, “deve dare di più”.
Ma siamo sicuri che sia il giusto punto di vista? Siamo sicuri che sia lui a dover dare di più e non gli allenatori a dover capire davvero come farlo rendere al meglio? Vendere un giocatore del genere di soli 21 anni ha senso per una squadra che vuole ricostruire da zero e far partire un progetto basato proprio sui giovani di qualità?
Sinceramente: avere a disposizione un ventunenne con così tanta qualità ed esperienza e venderlo perché non si è capaci di farlo rendere è un atteggiamento ai limiti della miopia, oltre che della pazzia. Bisognerebbe fare di tutto per valorizzarlo e per renderlo cardine insostituibile della propria squadra al posto di arrendersi all’idea di non riuscirci e venderlo al migliore offerente. Anche perché, guardando la rosa dell’Inter, giocatori da vendere prima di Kovačić ce ne sarebbero in quantità.
Il futuro nerazzurro deve ripartire da lui e da Icardi, non può prescindere da uno dei due. I giocatori così vanno aspettati, vanno messi nella condizione di rendere al meglio.
Probabilmente Mateo Kovačić non ha la stessa determinazione, forza d’animo e sfrontatezza del suo compagno con la numero 9 sulle spalle, ma vale davvero la pena perdere un talento cristallino come il suo?
Per noi no, mai. Il talento va salvaguardato, Mateo Kovačić va tenuto.