Quanti abitanti ha la Croazia? Il censimento del 2011 dice ben meno di 4 milioni e mezzo. L’Italia oltre 60 milioni: 13 volte tanto. È la prima cosa che ho pensato, quando ieri in conferenza stampa Buffon ha parlato di un’Italia che si sta rinnovando, aggiungendo che è «normale essere un pochino dietro rispetto a loro». Ma ne siamo proprio sicuri?
A simile domanda, Conte ha risposto: «Penso che ci troviamo nel punto che meritiamo». Vero, si riferiva più che altro al piazzamento nel gruppo H di qualificazione. Poi, non senza abilità diplomatica, ha aggiunto che «abbiamo trovato e stiamo trovando dei ragazzi, dei giovani che si stanno mettendo in luce nel campionato […] perché ci dev’essere un processo di crescita che ci deve portare agli Europei». Di lotta e di governo: difendendo il gruppo, ma sfidando il campionato.
A Spalato sarà una partita difficile: senza De Rossi né Verratti (che col CT però non ha mai legato), e anche senza Barzagli e Zaza. Scorie del finale di stagione: troppe partite sul groppone, dovremmo cominciare a chiederci se lo spazio dovuto a campionato e coppe non sia eccessivo (ma occhio, che altrove non si sgobba certo di meno).
Non so voi, ma io mi rifiuto di credere che un paese che, come il nostro, vive di calcio, poi sia incapace di produrre giocatori di medio livello. Che ci si debba ancora sentire aggrappàti a Pirlo (un fuoriclasse, vero; ma anche un 36enne); che non ci sia un centravanti di livello (meglio: che ancora il migliore sia Luca Toni, peraltro fresco di rinnovo a Verona); e, soprattutto, che non ci siano teste all’altezza. Penso a quanti giovani abbiano prima bruciato le tappe, e poi deluso le attese (ogni riferimento a Stephan El Shaarawy è puramente casuale).
Abbiamo buoni interpreti, facciamo tre nomi: lottatori dal piede buono (Marchisio), centrocampisti di quantità (Soriano) e di qualità (Vázquez). Guardiamo le età: 29, 24, 26. Insomma, nessuno dei tre nasce predestinato (e l’unico ad avere raccolto qualcosa, in termini di trofei, è Marchisio). In altre parole siamo in mezzo al guado: la riva opposta è troppo lontana, e anche quella di provenienza è impossibile da raggiungere.
È il solito problema dell’uovo oggi o della gallina domani; oppure, se vogliamo, della scelta tra risultati immediati o programmazione. Ancora: tra risultati economici, e progetto sportivo. L’equivoco italiano è tutto qui: scegliere se formare giocatori e uomini, oppure ragionare su bonus da guadagnare a breve termine. Scommetto su Saponara, o compro Fernardo Torres? Nel primo caso, sicuramente vendo meno abbonamenti; nel secondo, porto in Italia un giocatore spento, che non aggiunge nulla al livello di un campionato basso.
Abbiamo rinunciato a educare: tifosi, allenatori, giocatori. Docenti, discenti. Non importa imparare qualcosa: conta solo portare a casa un bell’8, o un bel 30. Poi si dimentica tutto (tranne il voto), e si riparte da zero. Risultati a breve termine, che fanno morale ma non lasciano eredità spendibili. Non è colpa di Conte se ci troviamo in questa situazione; ma, come minimo, è colpa di tutti. Se un paese grande poco più della provincia di Roma diventa un avversario così temibile, sarà il caso di farsi un esame di coscienza.
Magra consolazione: stasera a Spalato si giocherà a porte chiuse: almeno in questo, possiamo dire che il malcostume non è solo italiano.