Una emozionante, mediocre, tragica stagione
24 maggio 2015, diciassette minuti sul cronometro di St James’ Park. Ormai i 52000 tifosi del Newcastle United conoscono la prassi a memoria. Si alzano, iniziano ad applaudire; durerà esattamente sessanta secondi, quando il timer segnerà 18:00 smetteranno e torneranno a sedere. E non c’è occasione che tenga, gol subito o segnato che tenga, loro finiranno di applaudire al termine di quel minuto. Per capire perché in un insolitamente assolato pomeriggio nel nord-est d’Inghilterra 52000 persone si alzino a spellarsi le mani apparentemente senza motivo bisogna tornare indietro all’estate del 2014, quando il cupo 2014/2015 del Newcastle United ebbe inizio.
Qualcuno, perché a quasi un anno di distanza non si sa ancora chi abbia premuto il pulsante, il 17 luglio 2014 colpisce e distrugge il volo MH17 della Malaysian Airlines che da Amsterdam stava andando a Kuala Lumpur. A bordo 298 persone, tra le quali John Alder e Liam Sweeney, due tifosi dei magpies che stavano raggiungendo la Nuova Zelanda per seguire la squadra di Alan Pardew nella sua tournée estiva.
Mentre la stagione si avvicina, parte l’iniziativa di commemorare i due sfortunati supporter con un applauso durante il diciottesimo (dal numero del volo colpito) minuto di ogni gara casalinga. Ciò avviene alla prima interna con il Manchester City a St James’ Park, avviene al Villa Park nella partita giocata tra Aston Villa e Newcastle qualche giorno dopo a ore dal funerale di Sweeney, e soprattutto avviene sulle rive del Tyne quando in città arriva il Sunderland, rivale storica dei bianco-neri. La morte di Alder e Sweeney compie una specie di miracolo: unire le tifoserie di black cats e magpies, con i primi protagonisti di raccolte fondi per le famiglie dei due e manifestazioni di solidarietà allo Stadium of Light.
Dopo sette partite, in campionato il Newcastle United ha 4 punti ed è diciottesimo. Ne prende quattro dal Southampton, pareggia in casa con Hull e Crystal Palace, fioccano le critiche a Pardew e alla società. Quest’ultima in particolare, perché rea di una gestione troppo monetaria della squadra, allontanando appena possibile i migliori giocatori per fare cassa; soldi che poi, inevitabilmente, finiscono nelle tasche del presidente Mike Ashley piuttosto che essere reinvestiti sul mercato. Inoltre, gli abitanti di Newcastle (i “Geordie”) continuano a pensare che l’unico scopo di Ashley sia usare il loro club come veicolo di comunicazione pubblicitaria per la famosa catena di negozi sportivi di cui proprio il patron londinese è proprietario.
Il 16 settembre del 2014 Jonás Gutiérrez, con un’intervista al canale argentino TyC Sports, rivela di aver avuto un tumore a un testicolo che l’ha tenuto fuori dal campo sin dal principio della stagione precedente (2013/2014). La chemioterapia è però già agli sgoccioli, e il centrocampista di fascia nato a Buenos Aires rivela che basteranno un paio di mesi di riposo e poi potrà dedicarsi al ritorno in campo. Anche in questo caso, però, la gestione della situazione da parte della dirigenza magpies è quantomeno traballante. Si vocifera che Pardew addirittura consigli al sudamericano di trovarsi un’altra squadra.
Per descrivere meglio questo ragazzone muscoloso dai capelli (fino a prima della malattia) lunghi, il sottoscritto l’ha visto su un aereo di linea in classe economy con la fidanzata regalando sorrisi a chiunque lo riconoscesse. Insomma, tra le sue caratteristiche non avrà la tecnica di Cristiano Ronaldo ma sicuramente l’umiltà che in uno spogliatoio serve sempre.
Nel marzo del 2015 Jonás carica su twitter una foto del suo corpo prima del ritorno a Newcastle e una di quei giorni. Una differenza clamorosa che mostra la ritrovata forma e arruolabilità del calciatore.
Intanto, durante l’autunno, la squadra si riprende. Pardew la guida a sei vittorie consecutive e il 6 dicembre 2014 il Chelsea esce da Saint James’ Park battuto per la prima volta in stagione. Ma dal punto di vista calcistico, tutto sta per cambiare: il 2 gennaio 2015 l’allenatore lascia il nord-est d’Inghilterra per accasarsi sulla panchina del Crystal Palace.
Ashley consegna le chiavi della squadra al secondo: John Carver. Nato a Newcastle, Carver rappresenta i geordie in maniera abbastanza calzante. Forse Ashley pensa che questa appartenenza del tecnico alla tifoseria e alla città possa tenere a bada il pubblico bianco-nero, ma ignora che essi di calcio capiscano qualcosa. La gestione tecnica, tattica, delle singole partite da parte di Carver è disastrosa a dire poco, nonostante lui dichiari “Mi ritengo il miglior allenatore della Premier”. Il Newcastle United perde otto partite consecutive e si ritrova coinvolto nella lotta per la permamenza in Premier League.
I tifosi sono contro la dirigenza come forse mai durante la gestione Ashley.
E qui torniamo all’inizio della nostra storia, perché arriva il 24 maggio 2015, e i magpies devono vincere contro il West Ham per essere sicuri di rimanere nella massima serie inglese.
St. James’ Park è uno di quegli stadi in cui il padre barda il figlio di bianco e nero e lo mette a fare le foto seduto sulle statue dei grandi della storia del club al di fuori del complesso, uno di quegli stadi in cui arrivano persone dalle Fær Øer a tifare Newcastle con il cuore, uno di quegli stadi in cui quando, all’inizio del secondo tempo, il talentuoso portiere avversario prende posto sotto la “curva” di casa viene accolto da un caloroso applauso.
E, nonostante il panico di una retrocessione possibile aleggi sui presenti, questi canovacci non vengono stravolti.
Compreso il capitolo che vede i 52000 alzarsi per applaudire al 17:00. 60 secondi, senza pause, senza abbassare lo sguardo; con il progredire della stagione il gesto ha assunto anche un altro significato, visto che la maglia di Jonás Gutiérrez è proprio la numero diciotto. E per gli incredibili risvolti di una stagione spiegazzata dal destino, il sudamericano non solo è tornato a giocare da un paio di mesi, ma è in campo nella partita decisiva.
Il primo tempo finisce 0-0 e anche l’Hull City è sullo 0-0, ma, se dovessero segnare, i Tigers rimarrebbero in Premier League.
La paura è palpabile fino al colpo di testa di Moussa Sissoko, assistito dal cross di Gutiérrez al 54’. Ma il fragore più grande St. James’ Park se lo tiene per trenta minuti dopo, quando l’argentino, dopo otto mesi dall’ultima seduta di chemioterapia manda alle spalle di Adrìan il destro del 2-0 che cancella tutti i timori.
I 52000 sono ancora tutti in piedi, ad accogliere la felice corsa di Jonás verso il centro del campo. Egli si toglie la maglietta e con un sorriso porta le mani alle orecchie. Nulla di polemico verso la dirigenza, anche se probabilmente lo meriterebbe, ma il desiderio di ascoltare il tifo intorno a lui, intorno al suo unico gol nelle ultime due stagioni.
Al triplice fischio parte la solita, assolutamente morigerata, contestazione: da Gallowgate Stand, la “curva” di cui sopra per dire la verità ben poco assimilabile alle curve italiane, pende uno striscione.
“Non pretendiamo una squadra che vince. Pretendiamo una società che ci provi”.
E sicuramente nessun geordie si aspetta il Newcastle United si batta ad armi pari contro il Chelsea o le squadre di Manchester. Si accontenta (verbo inadatto e provocatorio) di vedere che tutti, dal presidente all’ultimo dei giocatori della panchina, si impegnino al massimo. Si aspetta una guida tecnica per lo meno competente, una squadra che sul campo di St. James’ Park dia tutto e tanti giocatori perfettamente consci di cosa vuol dire indossare quella maglia.
E se il 2014/2015 si è aperto con una tragedia e si è concluso con una favola, il merito è di un argentino di Buenos Aires che ha capito splendidamente questo principio.