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Fabbri e Pesaola, signori di un calcio antico

Giovan Battista Fabbri e Bruno Pesaola si sono congedati in questi giorni da catenacci e contropiedi terreni, dopo una vita spesa a ragionar di pallone, inseguendolo prima in proprio sul campo e comandandone l’inseguimento altrui poi, dalla panchina. Uno classe ’26, l’altro ’25, erano testimoni di un calcio appartenuto a generazioni precedenti, tattico e verace, suggestivo e anche fotogenico, a giudicare dal fascino degli album in bianco e nero o al più nei primi sgranati technicolor.

“Gibì” Fabbri forse oggi era passato di moda, ma nel calcio di provincia ha saputo lasciare un segno che sarebbe sconveniente dissipare. Apparteneva alla provincia emiliana, da calciatore portava uno di quei soprannomi antichi e vernacolari, ad indicar velocità di gamba e le ali ai piedi: “Brusalerba”. Ma è soprattutto da allenatore che il suo nome venne alla ribalta, nella seconda metà degli anni ’70. La sua storia si lega ad una delle più epiche imprese mai sfiorate in provincia: arrivare a un passo dallo scudetto, alla guida di una neopromossa. Successe a Vicenza, quando i biancorossi, che allora portavano il nome di Lanerossi Vicenza, si arresero solo nel finale alla corazzata Juventus, di Trapattoni, Zoff, Causio e Bettega.

Il Lanerossi Vicenza di Gibì Fabbri seppe incantare gli amanti del calcio e gli addetti ai lavori esprimendo un gioco decisamente all’avanguardia per il periodo. “Non avrei mai creduto che una squadra di provincia potesse giocare al calcio come giocò il Lanerossi Vicenza”, commentò.
Erano gli anni in cui l’Ajax prima e l’Olanda poi avevano rivoluzionato il calcio, sparigliando ruoli e disposizioni, slegando gli omini dai supporti del calciobalilla e ridisponendoli in maniera fisarmonica sul prato verde, mentre in Italia la controriforma tattica frenava la diffusione delle idee, ancorandole con un classicismo di maniera ai canoni derivanti dalle eredità di Herrera e Rocco.
Gibì Fabbri fu tra i primi ad aprire le finestre, facendo entrare quel vento fresco del nord che più di dieci anni dopo Arrigo Sacchi avrebbe convogliato a vele spiegate. Dopo una meritata promozione, nella stagione 1977-78 il suo cosiddetto “Real Vicenza”, portò in serie A le sgroppate dell’ala Filippi, i cambi di passo degli intermedi Cerilli e Faloppa, ma soprattutto, i gol di Paolo Rossi.

Fu proprio Fabbri a cambiar ruolo a Pablito, dandogli fiducia e forgiando nei movimenti quello che sarebbe diventato il più importante centravanti “mundial” della storia azzurra. Così, nella propria autobiografia, lo ricordava proprio Paolo Rossi: “In questo ruolo mi aveva scoperto il mio storico e insostituibile allenatore, Giovan Battista Fabbri, detto GB, quando giocavo nel Lanerossi Vicenza. “Fino a quel momento ero stato un’ala destra … Fabbri con una formidabile intuizione, mi gettò al centro dell’attacco e il tempo e i risultati gli hanno dato ragione. Quell’anno segnai ben 21 gol con il Vicenza e quello successivo 24 nella mia prima stagione di serie A”.

Dopo il “Real Vicenza”, la parabola di Fabbri non incontrò i grandi club, ma continuò a svolgersi in provincia. Molti anni più tardi, da Direttore Tecnico, ottenne una doppia promozione con la SPAL, squadra cui era molto legato, riportando i ferraresi dalla serie C2 alla B.

Più noto al grande pubblico era invece Bruno Pesaola, detto “Petisso”. Giunto nel Dopoguerra in Italia dall’Argentina, da attaccante talentuoso si legò soprattutto a Roma e Napoli (dove era rimasto a vivere e dove è morto).
Da allenatore vinse due Coppe Italia, con Napoli e Bologna, ma la vera impresa che ne iscrisse il nome nell’epica degli almanacchi, fu la vittoria dello scudetto, nella stagione 1968-1969 alla guida della Fiorentina. Quell’anno i Viola stabilirono un record non superabile: quello dell’imbattibilità in trasferta. Era la cosiddetta Fiorentina Yè-Yè, che negli anni della contestazione giovanile sapeva vincere mostrando la gioventù dei propri calciatori, “Picchio” De Sisti e Merlo su tutti ma anche la guida sapiente di un uomo d’esperienza (a Pesaola sarebbe ispirata la figura dell’allenatore detto il “Molosso”, nel bel film l’ “Uomo in più”, debutto di Paolo Sorrentino). Da allora Firenze aspetta ancora un nuovo “Petisso” che riporti lo scudetto in viola.
L’ultima panchina importante di Pesaola fu quella del Napoli, quando da subentrante a Giacomini, nella stagione ‘82-1983 portò la squadra ad una salvezza che sembrava essersi fatta lontana.

Due personaggi e due importanti allenatori, dei quali, consumati i ricordi mediatici obbligati, è appena giusto ricordare che ancor più netto negli angoli della memoria, rimarrà l’affetto dei loro tifosi.