NBA – Personaggi 2015 : David Blatt, l’allenatore fortunato che ha vinto tutto

In un’intervista pre-stagionale, David Blatt chiese alla sua interlocutrice di essere additato come “fortunate” e non come “lucky”, come aveva fatto la ragazza. La differenza è quasi impercettibile, in lingua inglese, tra i due aggettivi. “Lucky” descrive una persona a cui la fortuna ha regalato tanto senza per forza esserselo meritato; d’altra parte “fortunate” significa che tale fortuna uno se l’è andata a cercare. Ovviamente l’oggetto della discussione era LeBron James, che in quei giorni aveva annunciato di voler ritornare a Cleveland. Blatt è solamente “lucky” ad avere il miglior giocatore del Mondo in squadra? Cercheremo di rispondere a questa domanda nei seguenti capoversi.

Ebreo nato in Massachusetts, Blatt giocò a pallacanestro a Princeton durante il regno di Pete Carril, teorico della famosa Princeton Offense, schema offensivo che porta l’ateneo a molti titoli della Ivy League, e più estensivamente, a cambiare il basket. Quando si trattò di giocare da professionista, Blatt si traferì in Israele, dove gioca per un decennio prima di dedicarsi alla carriera da allenatore.
Una carriera che lo porterà a essere uno degli allenatori statunitensi più vincenti in Europa. Una Eurolega, un campionato europeo per nazioni, titoli in Italia e Israele, sei anni alla guida della nazionale russa con cui ha anche vinto la medaglia di bronzo al torneo olimpico londinese del 2012.

La notizia del suo approdo a Cleveland nel giugno scorso fu accolta da molti come una ulteriore conferma che LeBron James non stesse considerando i Cavaliers come nuova (vecchia) squadra. L’annuncio a sorpresa che il prescelto sarebbe stato un suo giocatore aveva fatto vacillare più di un addetto ai lavori.
Non importa quanta gavetta da allenatore tu faccia: se sei un novellino in NBA hai sempre qualcosa da dimostrare. E farlo con il più influente cestista del Mondo al tuo fianco può essere molto difficile. Nel basket, come in qualsiasi sport di squadra, trovare un’amalgama vittoriosa è complicato, e certo il dualismo tra l’allenatore ebreo e il numero 23 non poteva essere viatico di una buona chimica di squadra.

L’esordio stagionale fu una sconfitta casalinga contro i Knicks (avete letto bene, i Knicks) e dopo una trentina di partite il record oscillava attorno al .500. La difesa era un disastro, e quello si poteva ipotizzare, mentre l’attacco era costipato e galleggiava grazie al trio stellare LeBron-Love-Irving. In dicembre, i dirigenti dei Cavaliers si radunarono e pensarono di cacciare Blatt. Forse non lo fecero perché la squadra iniziò proprio in quei giorni a vincere, e passò dalla quinta alla seconda, stabile, piazza a est.
Arrivarono i Playoff e la controversa gara 4 di semifinale di conference contro i Bulls. Rimessa in zona d’attacco a pochi secondi dal termine. David Blatt prese la lavagnetta e mise la crocetta con il numero 23 a dare via il pallone dietro la linea di fondo campo. “Just give me the ball!”, tuonò il nativo di Akron. Palla a lui fuori dai blocchi, canestro, qualificazione alla finale in tasca.
J.R. Smith raccontò, in quei giorni, che alle parole di Blatt tutti i giocatori riuniti intorno a lui si guardarono straniti. Far rimettere Lebron? È forse pazzo?

Ci voleva proprio un princetoniano ebreo che ha vinto tutto in Europa per togliere la palla al Re di questo gioco, o almeno per provare a farlo prima che quest’ultimo si ribellasse.
L’avventura di David Blatt in NBA è tutta qui: disprezzato, inadatto, inesperto, debole.
Eppure i suoi giocatori del Maccabi, quest’estate, non lo dipingevano così: nella tournée americana, gli israeliani parlavano di un uomo che alla prima sconfitta poteva sollevare di peso chiunque senza temere reazioni, che era meticoloso e che godeva della stima di tutti. Le 17 vittorie consecutive fino alla conquista dell’Euroleague, in questo senso, avrebbero dovuto essere esplicative.
Un allenatore dedito al lavoro più che alle stravaganze tattiche, al rapporto uno contro uno con i suoi, sempre sincero e abituato alla pressione di vincere (il Maccabi Tel Aviv è la squadra più discussa in Israele).
Un uomo che si è scontrato con la NBA, il suo atleta più rappresentativo e la voglia di una città di vincere, per la prima volta, qualcosa nello sport professionistico.

Un conflitto che porterà a un’esplosione. I Cavaliers e David Blatt, come due entità separate, ne usciranno con il titolo più ambito o senza. Una sola cosa è sicura: l’ebreo da Boston, cresciuto a Princeton e diventato grande in Europa, ha provato a tenere testa ai tre soggetti di cui sopra (l’NBA, il 23 e la città di Cleveland), e anche solo per questo si merita un aggettivo meno dispregiativo.

David Blatt, NBA head coach, fortunate.