Da Stephen Curry a Steve Kerr poco ne passa e l’assonanza è semplice, ma il lavoro, invece, quello è stato tutt’altro che scontato ed è stato tanto per uno degli ex giocatori più silenziosi e adesso coach dei Golden State Warriors, campioni della Western Conference e favoriti al momento per la corsa all’anello dopo una stagione strepitosa da 67 vittorie e 15 sconfitte.
Ma facciamo un passo indietro e vediamo dove nasce la sua carriera, prima da giocatore e poi da allenatore di una squadra che gioca una pallacanestro come pochi. Classico bianco, esce dal college, vita agiata e tra i pochi non “nigga” usciti dal ghetto che con un po’ di fortuna ce la fa in molti di voi staranno già pensando.
Eh no! Non è il caso del 47enne nativo di Beirut, già, Beirut non proprio la città più tranquilla del pianeta, per anni in clima di guerra e indubbiamente tra le città più bombardate della storia recente. Figlio di un governatore americano, Steve trascorre la sua infanzia e i primi anni dell’adolescenza in Libano finché si traferisce negli Stati Uniti, dove inizia a muovere i primi passi nella high school degli Arizona Wildcats, da lì ai Suns il passo è breve, passano 5 anni per la chiamata in NBA e Phoenix decide di sceglierlo al secondo giro del draft per poi girarlo ai Cleveland Cavaliers, eh già anche lì il destino stava già bussando alla porta di Steve.
Destino che però, pochi anni prima aveva sconvolto la vita dell’attuale coach dei Warriors, quando nel 1984 all’età di 18 anni venne a sapere che il padre era stato assassinato da un militante nazionalista in Libano. Evento che segnerà la vita di Kerr, che dal padre Malcolm aveva imparato a sorridere sempre, nonostante tutto e a porsi degli obiettivi e superarli, senza pensare troppo a chi gli sarebbe andato contro.
Il caso ha voluto che dopo essere stato chiamato nel 1993 dai Bulls ad andargli contro però fu un certo Michael Jordan. Durante una lite in allenamento, Mj tirò un pugno in faccia al biondino di Beirut, ma Steve Kerr non si tirò indietro e conquistò a pieno il rispetto di Michael che qualche giorno dopo si scusò dicendogli: “Tu mi piaci, seguimi e vinceremo assieme“. Alle Finals dell’anno successivo contro i Jazz, nemmeno a dirlo, Jordan si fidò di Kerr, appostato in angolo e Steve non lo tradì.
L’anno successivo i Bulls dopo l’addio di Jordan pensarono di disfarsi di lui mandandolo agli Spurs di un certo Popovich e in quel momento in mano a David Robinson, scelta sbagliata, pessima e ancora una volta rivincita di Steve contro chi non aveva creduto in lui, quarto titolo di fila per Kerr dopo i tre di fila ai Bulls e primo per la franchigia texana. Dopo un anno discreto ai Blazers, torna agli Spurs a 38 anni dove nel frattempo è arrivato a dominare anche un certo Tim Duncan, quinto titolo e ultima stagione da giocatore. Da lì inizia a farsi apprezzare come commentatore per la TNT per poi diventare niente meno che presidente dei “suoi” Phoenix Suns, squadra che porta sempre nel cuore. In Arizona non vince ma è basket spettacolo anche grazie a un canadese non tanto dissimile a lui per carattere, tale Steve Nash e a un coach amante del gioco offensivo come Mike D’Antoni.
Nel 2014 intraprende la carriera di allenatore, credono in lui i Golden State Warriors, impatto devastante, anche se va detto che la franchigia è figlia del lavoro del “reverendo” Jackson che negli anni ha inculcato nei californiani una mentalità vincente. Gioco offensivo, rotazione, tiri dal perimetro, corsa, difesa e giocatori tutti alla pari.
Questo il credo di Steve Kerr e di Golden State, dove, in una sola stagione il nativo di Beirut è riuscito ad ottenere una finale non solo grazie ai tanto citati “Splash Brothers” ma anche ai vari Green, Speights, Bogut, Ezeli, Livingston, Barnes e Iguodala (titolare in qualsiasi altro quintetto NBA) da lui relegato in panchina per il bene della squadra.
Adesso l’ultimo ostacolo al suo primo titolo da allenatore si chiama LeBron James leader di quella Cleveland, dove, la sua carriera da All Star ebbe inizio e che comunque vada a finire questa stagione non sembra volersi arrestare.