Klose, ovvero come prendersi il palcoscenico

Di sirene che lo chiamano di qua o di là nel mondo, ne abbiamo viste passare tante in questi anni: un tempo erano sirene inglesi o statunitensi, oggi addirittura si parla del Brasile; e lui ha sempre detto di voler chiudere in Bundesliga (si diceva che potesse tornare al Kaiserslautern, se fosse stato promosso).

Di lui sappiamo un po’ tutto: tedesco di Polonia (diciamo così), da sempre ha segnato con regolarità, a tutti i livelli; 36 anni, campione del mondo e recordman di reti nei Mondiali, arrivato alla Lazio a parametro zero nell’estate del 2011. Quando a molti poteva sembrare una scelta di basso profilo, di ripiego: un usato garantito, diciamo, con l’ulteriore difetto di doversi adattare alla Serie A. Adattamento rapido, se ha rotto il ghiaccio dopo soli 12 minuti della sua prima partita (Milan-Lazio 2-2). L’ultimo domenica, quello che pone il sigillo sull qualificazione ai preliminari di Champions.

I numeri parlano chiaro: parlando solo della Serie A, 48 gol in 115 presenze, poco più di un gol ogni due partite giocate. Una statistica che diventa ancora più rilevante se guardiamo all’impiego in termini di tempo: in soli 1.832 minuti giocati quest’anno (34 presenze, ma giocando i 90′ solo in 6 occasioni), 13 marcature equivalgono a una ogni 141 minuti. Ogni tre tempi di gioco, un gol: non è da tutti, anzi. Ah, giusto per puntualizzare: 13 segnature “pulite”, senza rigori.

Come caso di longevità agonistica, non è isolato: pensiamo a Luca Toni, capocannoniere a 38 anni (in coabitazione con Icardi), e autore di 42 reti in 70 partite (una ogni 148 minuti). Un altro campione del mondo, peraltro. C’è da riflettere: attaccanti che, a ridosso dei 40 anni, sono ancora capaci di sgomitare, scattare e saltare come e meglio di colleghi ben più giovani. E qui il talento non c’entra: valgono piuttosto la testa, la professionalità, l’assiduità. Miroslav e Luca segnano ancora come dieci anni fa.

Ce n’è abbastanza per cominciare a farsi qualche domanda: in tempi di falso nueve (detto in spagnolo, perché falso nove o finto centravanti non è abbastanza sciccoso), due attaccanti veri sugli scudi quando molti loro coetanei si sono ritiràti (o nelle serie minori, o del tutto). Chiaro che una Juventus, per guardare avanti, pensa ai Morata e ai Dybala; il mercato fa i suoi giri, ma forse per ogni giovane che dichiariamo «non ancora pronto» c’è sempre un “anziano” non ancora bollito.

A inizio stagione Klose partiva dietro a Filip Djordjević, ma a posteriori bisognerebbe parlare piuttosto di riserva di lusso, di uomo-qualità; e comunque l’infortunio del serbo ha aperto più spazi. Centellinato da Pioli, che con l’avanzare degli anni ne ha gestito l’autonomia, conscio di poterne ricavare bagliori di classe, ha contribuito al rientro in Champions, cioè in Europa dalla porta principale (o quasi: comunque ci sono le due partite di playoff da giocare). Sirene brasiliane o no (e noi ci auguriamo di no), una volta di più il palcoscenico migliore se lo è guadagnato sul campo.

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Pietro Luigi Borgia