MondoPallone Racconta… Heysel, 1985-2015: un peso sul cuore

E’ giusto chiarire subito le cose: quel 29 maggio 1985 per me, ma credo anche per tanti altri, non venne disputata alcuna partita. Non ci fu quella galoppata di Boniek, il rigore farsa di Platini. Quell’esultanza dal sapore vergognoso. Quella coppa sporca. No… facciamo finta che non abbia mai avuto luogo, l’insulsa partita. Perché tutto il resto, con le tenebre di quel pomeriggio belga di trent’anni fa, fu drammaticamente vero. Come un peso sul cuore che non sarebbe mai svanito. Accadde…l’Heysel.

Uno stadio glorioso

Per ospitare la finale della Coppa dei Campioni 1984-85 l’UEFA designò Bruxelles quale sede della partita, che si sarebbe disputata nello stadio Heysel, a nord-ovest della capitale. L’impianto, aperto nel 1930 e costruito in vista dell’Esposizione Internazionale programmata per cinque anni dopo, fu battezzato Stadio del Giubileo perché inaugurato pochi giorni dopo il centesimo anniversario della Rivoluzione Belga. Nel 1946 cambiò nome in Heysel, dal quartiere in cui era ubicato. In seguito venne aggiunta una pista a bordo campo fruibile da atletica e ciclismo. Nei decenni successivi avrebbe acquisito lo status di stadio nazionale belga e consolidato la sua importanza in tutto il Vecchio Continente. L’Heysel infatti ospitò diverse finali delle Coppe europee per club: tre di Coppa dei Campioni (1958, 1966 e 1974) ed altrettante di Coppa delle Coppe (1964, 1976 e 1980). Ma non solo. Nel 1972 fu teatro della prima affermazione continentale della Germania Ovest, che batté 3-0 l’URSS.

Colpevole cecità

Negli anni Ottanta l’impianto, la cui manutenzione venne colpevolmente trascurata, accentuò il proprio declino strutturale. Il muro perimetrale, costruito con mattoni in cemento, iniziò ad accumulare lesioni perpetrate da tifosi senza biglietto, ma ugualmente desiderosi di assistere abusivamente alle partite. A completare il preoccupante scenario, le pesanti infiltrazioni d’acqua che trovarono ben poca resistenza e tanta superficialità. Come è stato possibile, in un quadro complessivo del genere, che l’UEFA abbia autorizzato l’Heysel ad ospitare quella finale? Di più: quello stadio non avrebbe dovuto ospitare alcun evento di massa, molto prima di quella data, per evidenti motivi di sicurezza. Perché, ci sono tutti i motivi per crederlo, un cedimento strutturale si sarebbe verificato comunque, prima o poi.

L’anticamera della tragedia

Un ulteriore campanello d’allarme, per le autorità, avrebbe dovuto suonare con la qualificazione alla finale – oltre che della Juventus – del Liverpool: la pericolosità dei supporters inglesi, i famigerati “Hooligans“, si era già manifestata nell’ultimo atto della stagione precedente, all’Olimpico di Roma. Da qui, garantire un controllo speciale da parte delle forze dell’ordine. Anche la gestione dell’attribuzione dei settori dello stadio alle varie tifoserie fu quantomeno discutibile. Al Liverpool va comunque dato merito, tramite il suo chief executive Peter Robinson, di aver tentato di portare la storia su un binario più sicuro: parole che caddero nel vuoto. Questo è un estratto del suo ricordo di quel giorno, tratto dal sito ufficiale del Liverpool:

” Nel febbraio 1985, l’UEFA scelse l’Heysel come sede della finale. Mentre noi eravamo impegnati in Grecia nella semifinale contro il Panathinaikos, la Federazione belga contattò il nostro club e parlò con il mio segretario, per concordare un meeting d’urgenza. Chiesi un incontro tra la polizia ed i due club finalisti. In avvicinamento al 29 maggio mi recai in Belgio per ritirare i biglietti destinati a noi, presi visione della suddivisione dei tagliandi e dei settori per ciascuna squadra. Infine, una breve visita all’impianto. Le regole UEFA stabilivano la divisione equa dei ticket, nella misura di 14.500 unità a testa. Mi resi subito conto che i biglietti per la zona neutrale si trovavano in mezzo a quelli del Liverpool.

Se fossero finiti in mano a supporter juventini, si sarebbe potuto rivelare un problema.

Il famigerato settore Z, occupato da tifosi juventini, fu invaso dagli Hooligans

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Chiesi per quale motivo non ci avessero concesso un settore completo, ma ci fecero capire che quello era l’unico modo per ottemperare alle disposizioni UEFA. Ad ogni modo, i ticket erano già stati impacchettati e non ci furono possibilità di cambiare le cose. Poi fummo portati sul terreno di gioco. Un terribile pomeriggio piovoso. Ci vennero mostrati gli spogliatoi.

Chiesi di visitare gli spalti e vedemmo le mura divisorie tra settori: sembravano più fini di quelle delle stie per polli.

Ci dissero inoltre che in quell’impianto erano ben abituati a controllare folle molto numerose e che la vendita dei biglietti, in Belgio, era totalmente sotto controllo. Rientrai in Inghilterra con grandi riserve, soprattutto riguardo al settore neutrale. Ci incontrammo con il Segretario Generale della Federcalcio belga ed il suo assistente, manifestando preoccupazione per la vendita di alcolici.

Ci fu garantito che sarebbe stata vietata nei dintorni dell’Heysel. Ma non fu così.

Chiaccherammo sulle indiscrezioni della stampa inglese, che suggerì la presenza in Italia di molti biglietti venduti al mercato nero. Mancavano pochissimi giorni alla gara e mi recai nuovamente a Bruxelles per ritirare i ticket destinati ai VIP e restituire la Coppa, di cui eravamo detentori. Notai un hotel pieno di italiani. Mi assicurai di far stampare i biglietti a noi destinati con il logo del club, ma la federcalcio belga non venne mai a saperlo. Rientrato a Liverpool, espressi al mio presidente John Smith le mie brutte sensazioni. John, che era inoltre presidente del Consiglio dello Sport, parlò con il Ministro McDonald il quale inviò un telex al suo omologo belga, alla federazione inglese e a quella del paese ospitante. Due giorni prima del match. Espresse preoccupazione per le indiscrezioni sui tagliandi contraffatti e chiese rassicurazioni sull’applicazione delle norme UEFA.

Al telex non rispose nessuno.

Mi recai all’Heysel la sera della partita. Con John Smith notai chiaramente che la cosiddetta zona neutra era piena di tifosi italiani. Lo urlai al Segretario Generale UEFA. Mi disse che il settore sarebbe rimasto neutrale e che gli italiani erano residenti a Bruxelles muniti di regolare biglietto.

La trovammo una risposta insoddisfacente.

Poco dopo mi incontrai con l’osservatore ufficiale UEFA Schneider: attirai la sua attenzione sui due gruppi di tifosi nel settore e sull’assenza di poliziotti nel tratto divisorio. Bisognava fare qualcosa, e in fretta. Schneider mi comunicò che non avrebbe potuto far nulla e se ne andò.

La situazione era sfuggita di mano, fuori controllo.

Sentimmo un “crack” quando il muro venne giù. Eravamo a pochi metri e vedemmo subito individui seriamente feriti. In quel momento, non sapevamo ancora dei decessi. Fummo spostati dagli steward. Molte persone dissero che le morti erano avvenute non per il cedimento del muro, ma per quella delle barriere di protezione a cui seguì la calca fatale. Alle 21:00 mi recai nella zona del disastro. Cercai di parlare con un gruppo di tifosi del Liverpool. Mi fecero vedere i loro biglietti, strappati a metà.

Poi, incontrando un altro gruppo, scoprii che diversi ticket erano stati comprati al mercato nero.

Non fui felice della disputa del match. Ma in una riunione era stato stabilito che rappresentava la soluzione migliore per far riorganizzare le forze dell’ordine.

Riandammo sugli spalti. Notammo la totale mancanza di tornelli e parti di cemento sparse ovunque. Fu una visione tremenda.

L’indomani mattina facemmo una breve conferenza stampa sugli spalti. Esprimemmo il nostro rammarico e le condoglianze agli italiani. Lo stadio non poteva essere considerato per un match del genere, non avrebbe strappato la licenza in Inghilterra. A tragedia avvenuta, con gli occhi del mondo puntati sul Liverpool, il lavoro dei nostri dirigenti era appena iniziato.

Se quella finale fosse stata disputata in qualsiasi altro stadio, diverso dall’Heysel, la tragedia non sarebbe accaduta”.

I momenti dopo la strage

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le vittime

Nell’assurda carneficina dell’Heysel, morirono 39 persone: 32 italiani (Rocco Acerra, Bruno Balli, Giancarlo Bruschera, Andrea e Giovanni Casula, Nino Cerullo, Giuseppina Conti, Dionisio Fabbro, Eugenio Gagliano, Francesco Galli, Giancarlo Gonelli, Alberto Guarini, Giovacchino Landini, Roberto Lorentini, Barbara Lusci, Franco Martelli, Loris Messore, Gianni Mastroiaco, Sergio Mazzino, Luciano Rocco Papaluca, Luigi Pidone, Benito Pistolato, Domenico Ragazzi, Antonio Ragnanese, Mario Ronchi, Domenico Russo, Tarcisio Salvi, Gianfranco Sarto, Amedeo Giuseppe Spolaore, Mario Spanu, Tarcisio Venturin, Claudio Zavaroni), 4 belgi (Alfons Bos, Willy Chielens, Dirk Daeneckx, Jean Michel Walla), 2 francesi (Jacques François, Claude Robert) ed un irlandese (Patrik Radcliffe). I feriti furono oltre 600.

Corriere della Sera del 30 maggio 1985

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Indagini

Inizialmente, come noto, la responsabilità fu riversata completamente sui tifosi inglesi. Le prime indagini coinvolsero Hooligans, UEFA, i proprietari dell’impianto e la Polizia belga per stabilire la colpevolezza, a vari livelli, dell’accaduto. La giustizia belga, 18 mesi dopo, pubblicò un dossier che stabilì la colpa preponderante da parte dei tifosi, senza scagionare le autorità. Da parte sua la Polizia inglese portò avanti le proprie indagini per scovare i colpevoli, esaminando 17 minuti di filmati e decine di fotografie. Vennero arrestate ed interrogate 34 persone, 26 delle quali citate per omicidio preterintenzionale (reato per il quale era possibile l’estradizione) e aggressione. I processi si protrassero fino all’aprile 1989, con l’incarcerazione di 14 tifosi inglesi a 3 anni di prigione. In seguito, grazie all’appello belga – nella primavera 1990 – per applicare pene più severe, le condanne vennero portate a 4 o 5 anni.

Conseguenze sportive

I club inglesi, inizialmente banditi a tempo indeterminato a livello internazionale, rientreranno nelle Coppe Europee solo a partire dalla stagione 1990-91. Il Liverpool rientrò un anno dopo. La Nazionale inglese non subì restrizioni nella sua attività. Lo Stadio Heysel ospitò solo gare di atletica leggera fino al 1994, quando venne chiuso, demolito e ricostruito diventando l’odierno Stadio Re Baldovino. 11 anni dopo la strage, l’impianto ospitò di nuovo una finale: quella di Coppa delle Coppe tra PSG e Rapid Vienna.

Polemiche

I giocatori della Juventus, che ufficialmente vinsero quella gara, si lasciarono andare a scene di ingiustificato giubilo durante e dopo la partita. Altrettanto si può dire di tutti i tifosi che festeggiarono in strada nelle ore successive alla tragedia. A loro parziale discolpa, le informazioni frammentarie sugli incidenti, di cui si seppero le dimensioni certe solo a distanza di ore. Comportamenti ad ogni modo censurabili e focolai di polemiche. Michel Platini, il giorno dopo, chiese pubblicamente scusa alla luce dei fatti emersi.

Televisione

La telecronaca in diretta della partita fu trasmessa in Italia da Rai 2. Bruno Pizzul, incaricato di quel racconto, apprestandosi a commentare l’insulsa partita dopo la strage, dichiarò agli spettatori l’intenzione di usare toni impersonali ed asettici. Tra le numerose produzioni televisive sull’accaduto, da segnalare una puntata della trasmissione “La Storia Siamo Noi”, a cura di Giovanni Minoli.

Cinema

Nel 1988 il regista italiano Marco Tullio Giordana realizzò il film “Appuntamento a Liverpool“, dove Isabella Ferrari impersona una ragazza alla disperata ricerca dell’assassino del padre, morto all’Heysel.

Musica

Il grande compositore Michael Nyman dedicò la composizione “Memorial” alla memoria delle vittime di Bruxelles.

 

Come accennato all’inizio, è stato volutamente oscurato l’aspetto sportivo-statistico-celebrativo di quella giornata. Il doveroso omaggio alle innocenti vittime ed il rispetto per le loro famiglie, credo possa manifestarsi anche in questo modo semplice e genuino.

Perché non accada mai più.