Il dollaro facile di emiri e oligarchi

di Alfonso Perugini

La notizia che tutti gli sportivi del mondo stanno commentando in queste ore è certamente il terremoto in casa Fifa che ha portato all’arresto di quindici persone dell’entourage di Blatter, anch’egli indagato. L’inchiesta, partita dal dipartimento di giustizia di Brooklyn, New York è stata condotta in prima persona del neo Procuratore Generale Loretta Lynch, nominata dal governo Obama da poco più di un mese.

Gli arresti, avvenuti in Svizzera su mandato di cattura internazionale, sono partiti dagli Stati Uniti poiché le persone coinvolte sono membri di primo piano delle confederazioni continentali americane, la Conmebol e la Concacaf, quest’ultima con sede a New York e Miami; perciò sul piano giuridico l’azione del governo Usa è pienamente legittimata. Le persone coinvolte sarebbero ree di aver intascato tangenti per favorire l’assegnazione dei Mondiali di calcio in Russia nel 2018 e in Qatar nel 2022, due già si sono dichiarate colpevoli, e i fatti sono fatti risalire a un periodo compreso tra il 2009 e il 2010.

Ma la domanda allora è, se sono passati quasi sei anni da questi avvenimenti, davvero nessuno non si era mai accorto di niente? Nessuno aveva mai denunciato? Questo è un fulmine a ciel sereno? Non è proprio così e infatti un paio di anni fa, prima il Sunday Times e poi il Guardian avevano reso noti al pubblico delle lettere che accusavano il Qatar di avere letteralemente comprato i voti, a botte di milioni di dollari, la kermesse del 2022 dai vari delegati internazionali. Gli articoli sollevarono il solito polverone per una settimana e poi tutto insabbiato, specie quando si tratta di Sepp Blatter. Anche il pubblico critico si era dimostrato molto perplesso sulla scelta del Qatar, un paese che di certo non vanta una tradizione calcistica e la cui nazionale, formata prevalentemente da giocatori brasiliani, magicamente diventati qatarioti, non si è mai neppure qualificata ad un mondiale.

Il suono del dollaro facile ha quindi evidentemente comprato il primo mondiale arabo della storia, a discapito di altri Paesi dove il calcio sta diventando invece un vero sport di massa come l’Australia e come gli Stati Uniti, entrambi sconfitti alle votazioni del 2010, in favore, appunto dello staterello arabo. Un grande peccato e anche un sacco ai danni dello sport, visto che l’Australia avrebbe a disposizione una grandissima organizzazione e una solidissima economia interna per potere ospitare senza alcun problema il mondiale in casa propria, per non parlare della sua nazionale che ormai, da almeno una decina d’anni è un’habitué del calcio internazionale.

E che dire allora degli Stati Uniti? Il ricordo dei mondiali del 1994, fortemente voluti da un lungimirante uomo di politica e di sport come Henry Kissinger, è ancora molto vivo nella mente degli appassionati del soccer, e fu proprio grazie a quell’edizione riuscitissima (forse la migliore in assoluto n.d.a.) che negli Usa si regolamento’ finalmente il campionato di calcio, la Mls, dopo l’esperimeto fallimentare della Nasl degli anni settanta e ottanta. O è forse una mera questione di denaro. Facciamo due conti: l’edizione del 1994 costo’ alla Ussf, la federazione calcistica degli Stati Uniti, appena 30 milioni di dollari, visto, considerato che gli stadi erano gia’ tutti moderni e presi in presito dal baseball. Una briciola, comparata al miliardo e mezzo (di dollari) dell’ultima edizione in Brasile e ai quattro per l’edizione del 2010 in Sudafrica. Altri quattro se ne vogliono spendere nella megalomane Russia e almeno cinque in Qatar, visto che gli stadi, tutti da costruire, saranno vere e proprie cattedrali nel deserto, specie dopo il torneo.

E quindi alla luce di questo semplice ragionamento, vale ancora la pena di assistere a questo sport ad altissimi livelli o si vuole essere spettatori, facendo spallucce, di un basso business mafioso?