Il perimetro dimensionale del derby

Finisce con la vittoria della Roma il derby capitolino, la squadra di Garcia accede alla Champions direttamente, mentre per la Lazio di Pioli ci sarà da attendere la sfida all’ultima giornata con il Napoli. Ma quel che resta del derby, è una sensazione di inadeguatezza capitale al palcoscenico globale, frammista a soddisfazioni di piccolo cabotaggio, perimetrate all’interno del Grande Raccordo Anulare.

Innanzitutto gli strascichi bui che riportano alla dimensione di una Roma matriciana, non proprio romanticamente rugantina quanto torvamente riportata nei dettagli in cronaca del Messaggero. Le coltellate di cui sono state vittime due tifosi romanisti, riprendono quel filo nero che parte dalla tragedia di Paparelli, si dipana attraverso il derby in cui i tifosi portarono sotto la curva Totti e compagni per comunicare la finta notizia di un bambino ferito, annodandosi in tanti episodi di “puncicate” e violenze reciproche, arsenali sequestrati e faide da pseudo gang of New York.
Mentre sugli spalti, ancora una volta lo spazio per le polemiche di parte ha prevalso sulle necessità coreografiche (stavolta da parte giallorossa). Chi ha visto recentemente gli esempi di altri stadi europei, da Siviglia a Dortmund nelle coppe, da Barcellona a Liverpool per l’addio di Xavi o di Gerrard, si interroga su quale sia il reale ruolo di chi sta sugli spalti rispetto alla partita.
Una zoppìa del nostrano pianeta calcio che a Roma, vuoi per il bacino di utenza, vuoi per una secolare inerzia di contrasto, riesce sempre ad accompagnare l’evento sportivo, imprimendo un marchio riconoscibile, non esente da contaminazioni politiche, canalizzazioni tribali e concatenazioni di vendette e prepotenze da bravi manzoniani, che col fatto agonistico non hanno a che fare, se non per la scelta del calendario.

E a proposito di calendario, rimane poi la vicenda noiosa di un rinvio che ha evidenziato la scarsa lungimiranza degli addetti ai lavori, la capacità del Presidente Lotito a far valere i propri interessi – salvo ritrovarsi con due giorni di riposo in meno, in vista della decisiva sfida con il Napoli – e la delusione di tanti tifosi e appassionati, costretti a non poter assistere alla partita, finita in concomitanza con un normale orario di lavoro feriale. Di loro, evidentemente, interessa ancor meno che dei recidivi funestatori del prepartita. Quel che resta, è qualche battuta sul lunedì dei parrucchieri e un cuore di burla.

C’è poi il merito calcistico, con i suoi risvolti analitici. Gode la Roma, che tuttavia ancora una volta, come tante in passato, vede nella stracittadina il limite del proprio successo, stante il distacco siderale dall’obiettivo scudetto. Piange la Lazio di Pioli e con lei quanti avevano osannato la squadra come la rivelazione del campionato, cosa in parte vera, ma nettamente ridimensionata nel caso di uno scivolamento al quarto posto e, in ogni caso, rimandata al verdetto estivo di un preliminare europeo dove si aggirano gli spettri di Manchester United e Valencia. A ben vedere, non è facile individuare quale sia la squadra rivelazione, oggi che ciascuna delle diciannove formazioni allineate dietro la Juve ha i propri motivi di rimpianto, salvo riconoscere magari a Empoli e Sassuolo meriti inerenti la salvezza (nemmeno il Genoa, che pure ha ben fatto, può dirsi soddisfatta, se è vero che gli è stata negata la licenza europea). Di certo, non è a Roma che la dimensione calcistica si è aperta verso orizzonti di sorti magnifiche e progressive.

E allora, in questo mondo capitale piccolo e autoreferenziale, intriso di un minimalismo dalla voce grossa, ancora una volta è possibile comunque rintracciare protagonisti di giornata, i vincitori a cui consegnare per un giorno le chiavi della città. Per la seconda volta in campionato è andato a segno Iturbe, che con questa firma si rimette all’indulgenza popolare, se non plenaria, quanto meno parziale, a copertura di una stagione che lo ha visto rimbalzare dagli onori di mercato alle recriminazioni circa la remunerazione dell’investimento. Ma ancor più di lui, a decidere l’incontro è stato un altro giallorosso. E siccome il derby da sempre ha lasciato spazio anche a comprimari meno celebrati, dai laziali Gottardi e Mutarelli in anni passati, al romanista Balzaretti nella scorsa stagione, non è mancato nemmeno stavolta l’eroe che non ti aspetti, il vero decisore di una partita che per i più malevoli, sembrava entrata già in odor di biscotto. Un difensore, Yanga-Mbiwa, centrafricano naturalizzato francese, il meno celebrato tra i giallorossi, un fedelissimo di Rudi Garcia ed eroe “just for one day”. La sua gioia per aver regalato la vittoria, resta la pagina più bella del derby.

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Paolo Chichierchia