L’ultima di Dybala

È stato annunciato come oggetto semi-misterioso nel tardo aprile di tre anni fa: misterioso perché sconosciuto ai più (ma non agli intenditori, né alla crème de la crème degli osservatori europei), semi- perché il suo costo (12 milioni) lo rendeva giocoforza un nome importante, gli metteva pressione. Parliamo di Paulo Dybala, che ieri ha giocato la sua ultima partita con la maglia rosanero al Barbera. E l’ha giocata da capitano. Ma quale futuro attende La Joya?

Anzitutto, ricordiamoci chi è e da dove viene. Nato a Laguna Larga, è cresciuto nell’Instituto, una squadra di secondo piano in Argentina; qui, nella serie cadetta, ha attratto le attenzioni di molte squadre europee (tra queste Inter, Chelsea e Paris Saint-Germain), finendo poi al Palermo, dove ormai è diventato una colonna: a dispetto dell’altezza, voglio dire. Una prima stagione piuttosto deludente (27 presenze e 3 gol) conclusa con la retrocessione in Serie B; buono nella risalita dalla cadetteria, e poi fondamentale (34 presenze e 13 reti, più 6-7 pali) nel consolidamento di quest’anno, con un autunno caldissimo (6 marcature tra metà ottobre e inizio dicembre), tenendo i rosanero stabilmente dietro la zona Europa League.

E il prossimo traguardo sarà la Champions, dato che è stato acquistato dalla Juventus, come sappiamo. E magari anche quell’Albiceleste sfiorata e mai avuta, nelle giovanili. E ancora si sentono in giro paragoni scomodi, come «il nuovo Messi»: il suo connazionale Javier Saviola (un altro che ai tempi era il nuovo Maradona) getta acqua sul fuoco, dicendo che «Messi è un marziano, lasciamolo stare… E poi certi abbinamenti sono solo negativi: Paulo è già una stellina e può migliorare». Ce la sentiamo di sottoscrivere.

Alla Juventus sarà un’altra storia: dovrà mettere tecnica, reattività e creatività al servizio di un contesto tecnico molto differente. Anzitutto sul piano psicologico: a Palermo è diventato un trascinatore, ma a Torino dovrà ripartire da zero nel guadagnarsi ogni rispetto. Dovrà farsi spazio tra Morata e Llorente, e magari anche Tévez (se resterà) – altrimenti non lo dovrà far rimpiangere, e non sarà poco. E rispetto a una squadra che cerca la promozione, dovrà cercare (come minimo) di raggiungere il quinto titolo e la seconda finale di Champions di fila: se si cade, lo si fa da molto in alto.

Eppure Dybala c’è abituato, a fare i conti con precedenti e paragoni scomodi. Quando era ancora il soggetto semi-misterioso strapagato dal Palermo, il paragone più in voga era quello di nuovo Agüero; da qualche mese in qua, lo abbiamo detto, c’è chi lo ha etichettato come nuovo Messi. Alla fine, secondo me, il paragone migliore lo aveva fatto il suo procuratore, Omar Peirone, prima che la Joya arrivasse in Italia: assomiglia a Vincenzo Montella (Enzo Maresca conferma). Prima punta, ma sottodimensionata; abile nello stretto; rapido e incisivo in area.

Sia il nuovo Montella, o sia (glielo auguriamo) il primo Dybala, ieri si è preso l’abbraccio di Palermo: che lo ha accudito e reso uomo, malgrado inizi balbettanti e la fama di non valere i soldi che era costato. Una fama che potrebbe portarsi anche a Torino: se andrà male, alla Juventus sarà visto come lo strapagato… almeno finché non infilerà quidici reti a stagione. A Torino dovrà anche scendere a patti con la consapevolezza di essere “solo” uno dei giovani attaccanti bianconeri di talento, e scalare le gerarchie; e magari diventare il nuovo preferito di una tifoseria cui manca solo una nuova bandiera. Sia come sia, il futuro e il talento sembrano essere dalla sua.

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Pietro Luigi Borgia