Meraviglioso Gent

Una favola. Non c’è altro termine per spiegare ciò che è accaduto ieri sera, lassù nel nord Europa. Un finale lieto, lietissimo, per una storia strana, bizzarra, fatta di passione vera, di undici cuori che di settimana in settimana hanno battuto, forte, sui campi sparsi in ogni angolo del Belgio, dimostrando che non solo con i soldi si possono vincere i campionati.

Signore e signori, benvenuti a Gand, città fiamminga famosissima per il ciclismo, ma da qualche anno intenzionata a darsi da fare per crescere anche sotto l’aspetto calcistico. Lavoro, ambizione, un mare di progetti in cantiere, da sviluppare con calma, nel tempo. Tanto fermento e voglia di fare, ma tempi – secondo molti, forse tutti – ancora immaturi, tant’è che nessuno pensava che qualcosa già quest’anno potesse cambiare. Nessuno pensava che qualcosa, quest’anno, sarebbe successo.

Il Gent, a inizio campionato, era una delle tante squadre pronte a darsi battaglia con obiettivi medio-alti. C’era voglia di fare una buona stagione; in rosa talento sì, ce n’era, ma mica tantissimo, e si contavano, ai nastri di partenza, anche parecchi rampolli prelevati dal vivaio, chiamati a completare l’organico e buttare, quando chiamati in causa, il sangue sul manto verde, di domenica in domenica. Il diktat: si scende in campo, si dà tutto, sempre, e poi chissà, magari si centrano i Playoff 1, quelli validi per scudetto (figuriamoci!) e coppe europee. E guai a non volare basso: ci sono squadre più blasonate (vedi il solito Anderlecht, campione in carica); oppure lo Standard Liegi dei tanti talenti (De Sart, Trebel, M’Poku poi finito al Cagliari, Ezekiel), e c’è addirittura il Club Brugge, squadra che con Preud’Homme punta a tornare a vincere in patria dopo una decade di risultati così così. Perciò, inutile viaggiare con la fantasia, inutile fare voli pindarici, inutile provare a competere.

Non si hanno le risorse. Vero? Non si hanno sufficienti risorse… forse.

Forse. Già, perché quest’anno tutto è andato come nessuno pensava mai potessero andare le cose. Né Club Brugge, né Standard, né Anderlecht: a vincere, a esultare, a convincere, a dimostrare un carattere infinito, è stato proprio lui, il piccolo grande Gent, squadra che per farvi capire… tutta intera, costa più o meno quanto il cartellino di Paulo Dybala. Dai, forse qualcosina (poco) in più.

Una strategia vincente, quella che la dirigenza si è trovata ad attuare addirittura in maniera involontaria (il Gent, realmente, ha iniziato a rendersi conto del possibile colpaccio un paio di mesi fa). Strategia basata su dei punti cardine, tra cui la costruzione di uno stadio nuovo – inaugurato nel 2013 – spettacolare, moderno, elegante, passionale. Si era capito, con la costruzione della Ghelamco Arena, che a Gand si stava provando a metter su qualcosa di grosso a livello societario, perché bastava guardarlo per capire che sarebbe stato costruito per fungere da dodicesimo uomo in campo. Senza avere, però – ricordiamolo – la benché minima speranza di cogliere i frutti del proprio lavoro già quest’anno. Non era pensabile riuscire a incidere in questa stagione; era – da programmi – ancora troppo presto.

Invece…

Invece, Mr. Hein Vanhaezebrouck. Lui, l’allenatore, è stato la chiave di volta, lo stratega del Gent dei miracoli. L’uomo capace di non scegliere mai lo stesso undici titolare, ma plasmare la squadra, ogni domenica, a seconda dell’avversario che si sarebbe trovato di fronte. Lui, chiamato a gestire un gruppo di giovani talenti (Foket, Depoitre, Van der Bruggen, Raman) rimpolpato a gennaio da innesti intelligenti (Simon, chiamato ‘il Ronaldo della Nigeria’, guardatelo giocare e capirete il perché. Ah, è un classe 1995) e tenuto a bada dalla banda di senatori, capeggiata dallo svizzero Milicevic, classe 1986, corsa e tecnica sulla trequarti. Lui, Vanhaezebrouck, che ha saputo insegnare ai suoi il suo gioco offensivo, intraprendente, a tratti sfacciato, capace di dominare, per esempio, il Club Brugge in casa sua (domenica scorsa) così come lo Standard (già, il Gent ha vinto, in questi Playoff, 1-3 allo Sclessin di Liegi), o l’Anderlecht, al Constant Vandenstock di Bruxelles: era l’ultima giornata di regular season, e con quel successo il Gent agguantò proprio i biancomalva al secondo posto in classifica.

Da lì, la scalata al successo. I Playoff giocati in maniera sublime, una rimonta riuscita alla perfezione nei confronti di un Club Brugge crollato forse anche a causa degli impegni europei (è uscito ai quarti con il Dnipro, attuale finalista), e una serata, quella di ieri, impossibile da dimenticare. Era apparecchiata, la festa alla Ghelamco Arena: bastava giusto una vittoria per scatenare il delirio, per vincere il primo campionato in 151 anni di onorata storia. Et voilà, Kums e Renato Neto, un gol per tempo, e  lo Standard Liegi si piega di nuovo. Due reti, una per tempo, e il Gent è campione di Belgio, il Gent è davanti a tutti e ci resterà fino alla fine.

Il Gent è riuscito a dimostrare carattere, maturità, superiorità. Il Gent ha dettato la sua legge, e l’ha imposta a tutte le altre. Il Gent ha vinto sul campo, armato di umiltà e ambizione, mix tipico di quelle squadre piccole, vestite però da grandi. Il Gent, infine, ha dimostrato un teorema: nello sport, nel calcio, il cuore, la voglia, il crederci sempre e comunque, possono veramente portarti a raggiungere vette che mai e poi mai avresti pensato, un giorno, di toccare.

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Alex Milone