L’importanza di un esonero

Dov’erano, Allegri e Pioli (in ordine alfabetico), un anno fa? A casa, pagati per fare nulla. Meglio: pagati per non poter fare il proprio mestiere, almeno pro tempore. Più che umiliante, imbarazzante: al fallimento sul campo si aggiunge la costrizione di dover stare a guardare. Si può pensare: non vinceva, se l’è meritata. Vero, ma non per questo fa meno male.

Come si giudica un allenatore? Per chi va in campo esiste ogni genere di criterio (non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore, cantava Francesco De Gregori); ma per un tecnico parlano i risultati della squadra (ahi, Inzaghi) e il palmarès storico (Ancelotti quest’anno resta a mani vuote, ma vuoi discutere?). Alla fin fine, un esonero quasi la dice più lunga su come dobbiamo giudicare una dirigenza: incapace di scegliere bene, o di dare al proprio tecnico una squadra gestibile.

E vale anche nel bene: dalla capacità di scegliere un buon polso, e da quella di dotarlo della rosa giusta per poterlo esercitare, si giudica una dirigenza. Quando dagli eventi è costretta a scegliere, come per la Juventus; o quando, per politiche interne, si decide di puntare su un certo tipo di persona (in cerca di lancio/rilancio/consolidamento), in campo e fuori.

Quindi diciamolo pure: ai tempi supplementari ha vinto la Juventus, ieri sera; ma la cosa più importante è stata che era la finale più giusta, tra le due realtà più belle dell’ultimo campionato. Una Juventus e una Lazio con il comune denominatore di avere cambiato allenatore in estate: ripescando Allegri, quando molti pensavano fosse solo una scelta obbligata e senza convinzione; o recuperando quel Pioli la cui ultima squadra era retrocessa.

Ha vinto la Juventus (decima coppa: e sul numero qui non ci sono dubbi), ha segnato Matri: un altro che doveva ancora trovare il proprio posto. Fedelissimo di Allegri: lo aveva avuto al Cagliari e richiamato al Milan (dove ha fatto le giovanili) – dal quale venne venduto alla Fiorentina due giorni dopo l’esonero del suo mentore. Torna in bianconero a gennaio, da infortunato; ma poi mette la firma sulla coppa, prima avviando la rimonta in quel di Firenze, poi con il gol al minuto 7 del primo supplementare. Davanti a lui ci sono Tévez, Llorente, Morata: ma bravo lui a farsi trovare pronto.

Due parole sulla Lazio: che quando partiva col vento in poppa, da quasi favorita, dopo le otto vittorie consecutive a cavallo tra metà febbraio e metà aprile, era uscita suonata nel breve volgere di mezz’ora; e che ieri partiva di rincorsa, e a lungo ha messo in difficoltà i bianconeri, giocando con costanza ed efficacia al cospetto di una squadra oggettivamente superiore. Meglio: esprimendo, lungo tutta la stagione, un gioco chiaramente superiore alla somma dei singoli talenti.

L’importanza di un esonero, o di una bocciatura: questa è la buona lezione (una volta tanto) che ieri il calcio ha dato alle nostre vite. L’opportunità di ripartire e ricominciare; di confrontarsi con nuove sfide. Di prendere il treno buono, o di perderlo. La possibilità di venire ri-giudicati, invece che pre-giudicati.

Published by
Pietro Luigi Borgia