Patrice Evra, l’uomo delle cinque finali

Tra gli officianti che celebreranno il rito della finale del maggior trofeo per club europeo, non solo vi saranno Messi e Tevez, Chiellini e Suarez, Neymar e Buffon, ma anche un trentaquattrenne francese, per il quale molti quest’estate a Manchester avevano previsto una comoda seduta in panchina sul viale del tramonto, qualche sgambata nei finali di partita più dolci e un po’ di polvere di gloria residua, in maglia bianconera.
Eppure, di tanti che gli corrispondevano, tra le casacche rosse dello United, a fine anno non è rimasto che tanto: a Berlino, ci sarà lui, Patrice Evra, di professione terzino. Per lui, classe ’81, senegalese d’origine e trapiantato in Francia ancora infante, sarà finale di Champions, per la quinta volta.
Giocatore moderno, capace di interpretare con aggressività, corsa e buoni doti tecniche il ruolo di terzino di fascia, con le sue caratteristiche dinamiche garantisce al proprio allenatore la possibilità di modulare schemi dove sia possibile contare su un appoggio di gioco per ogni fascia, in grado di garantire sovrapposizioni, ripartenze e copertura. Ma come fu per molti, anche Evra ai tempi delle giovanili poco pensava al ruolo che lo avrebbe consacrato, e anzi veniva schierato come attaccante (qualcuno per lui, parlò addirittura di nuovo Romario). E fu proprio in questo ruolo, ancora minorenne, che debuttò tra i professionisti, addirittura, come molti sanno, nella serie C italiana, precisamente a Marsala, stagione 1998-99. A mandarlo in campo, durante un Marsala-Nocerina, fu il tecnico Agatino Cuttone, ex terzino del Catanzaro degli anni ’80, anche lui con un debole per l’arrembaggio in area avversaria. A fine stagione, seppur giovanissimo, Evra collezionò 24 presenze, segnando 3 reti. Poi, complice un rocambolesco passaggio di consegne societarie, finì al Monza, all’epoca la squadra B del Milan, dove bruciò un anno in panchina. Il tecnico dei brianzoli, Pierluigi Frosio, vecchio libero del Perugia di Castagner, non riusciva a vederlo.

Di lì in poi, il resto è carriera col vento in poppa. Il ritorno in Francia, il passaggio al Monaco e nel 2004 a Gelsenkirchen, la prima finale di Champions, disputata agli ordini di Deschamps insieme a Flavio Roma e Giuly e persa contro il Porto di Mourinho e Deco. Poi, l’approdo al Manchester United di Sir Alex Ferguson. Qui, Patrice Evra si consolida e acquista una statura europea, diventando anche titolare della nazionale francese. Con Giggs & Co., Evra disputerà altre tre finali di Champions. Una vinta, a Mosca nel 2009, ai rigori contro il Chelsea e due perse, a Roma, l’anno successivo e a Wembley, nel 2011. In entrambi i casi contro lo stesso avversario che ritroverà di fronte a Berlino, il Barcellona. Una nemesi storica nella carriera di Evra, che tra i blaugrana ritroverà anche quel Suarez da cui ricevette insulti razzisti nel 2011, per i quali l’uruguagio collezionò la prima maxisqualifica di otto giornate, ben prima dell’ “affaire Chiellini”.

Accanto al ritorno a Berlino di Buffon, Barzagli e Pirlo, attenzione dunque a non sottovalutare anche la spinta emotiva che animerà questo campione francese dalla lunga carriera, che dopo aver pareggiato i conti con Mourinho, nella citata finale di Mosca 2008, avrà finalmente l’occasione di fare altrettanto con Messi, Iniesta e Xavi. Nella Juventus che dopo lustri ritorna a disputare una finale, c’è spazio anche per l’orgoglio di un terzino, Evra, che ha saputo passare da Cuttone a Deschamps prima, da Ferguson ad Allegri poi, senza mai interrompere la propria corsa.

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Paolo Chichierchia