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Dall’Alpi a Sicilia / dovunque è… Juventus

“La quarta strofa dell’inno di Mameli inizia con un riferimento alla battaglia di Legnano («Dall’Alpi a Sicilia / dovunque è Legnano»), combattuta il 29 maggio 1176 nei pressi della città omonima, che vide la Lega Lombarda vittoriosa sull’esercito imperiale di Federico Barbarossa. La battaglia di Legnano pose fine al tentativo di egemonizzazione dell’Italia Settentrionale da parte dell’imperatore tedesco (fonte)”. Nel significato della strofa vi è una chiara esortazione all’unità del popolo italiano, a ogni latitudine del territorio.

In una calda serata romana di maggio, in una zona sufficientemente periferica da essere considerata popolare e, al tempo stesso, sufficientemente centrale da accogliere persone appartenenti a classi sociali estremamente eterogenee, la tranquillità e il silenzio sono stati squarciati da due boati: il primo, fragoroso e della durata di alcuni secondi, al 58′ minuto della sfida Real Madrid-Juventus; il secondo, potente e prolungato, al fischio finale. Due boati che provenivano dalle abitazioni, dai locali, dalle strade… a Roma.

E, benché non possieda il dono dell’ubiquità, sono pronto a scommettere che gli stessi boati si siano uditi, chiari e forti, anche a Torino, Milano, Firenze, Bologna, Napoli, Lecce, Bari, Catania, Cagliari… dall’Alpi a Sicilia, insomma. Perché sì, è vero che i tifosi juventini non hanno radici, né appartenenza con una (sola) città, ma forse proprio perché essi stessi sono le radici, ramificate lungo tutto il territorio nazionale. Sono, indiscutibilmente, cittadini d’Italia.

La Juventus unisce, nel tifo a favore e in quello contro. Il tifoso juventino vive non uno, ma mille derby; ognuno ha il suo, che sia contro il Torino, la Roma, l’Inter o il Palermo. La squadra bianconera consente alle formazioni e alle tifoserie avversarie di giocare due derby in più, perché, come è naturale che sia, una squadra tanto amata deve essere almeno altrettanto odiata.

La Juventus è la società che, storicamente, ha fornito il maggior numero di calciatori alla Nazionale italiana di calcio, nella buona sorte (senza andare troppo indietro nel tempo, citiamo il 1982 e il 2006) e nella cattiva. Tale circostanza ha certamente un duplice effetto: da un lato, nei casi dei (purtroppo non isolati) fallimenti azzurri, i “nemici” della Juventus hanno una valvola di sfogo più potente; dall’altro, in caso di trionfo, la gioia e l’orgoglio dei tifosi juventini vengono moltiplicati esponenzialmente, sostenuti dal successo dei beniamini di ogni giorno, pro tempore al servizio dei colori azzurri.

La sofferenza, poi, nonostante lo stabile ritorno alle vittorie della società guidata dal presidente Andrea Agnelli, non è certo stata dimenticata, né dai calciatori, né dagli stessi tifosi: i primi pensieri, al fischio finale di Real Madrid-Juventus, sono andati alla B di Berlino e alla B, la Serie B, in cui la Juventus è (stata) precipitata nella stagione 2006-2007.

5 su 19, oppure più di 1 su 4, oppure il 26% circa. Si possono esporre nella forma che più si preferisce le cifre relative alle 5 finali di Champions League raggiunte dalla Juventus nelle ultime 19 edizioni. È vero, per ben 3 degli ultimi 4 tentativi è mancato l’acuto finale, ma è altrettanto vero che una squadra che compie l’intero percorso nella massima competizione continentale non possa, oggettivamente, essere tacciata di inconsistenza a livello internazionale.

Eppure il falso mito serpeggia, viene ripetuto con costanza, fino a entrare nell’immaginario collettivo e nell’alveo delle verità indiscutibili. 5 finali di Champions League nelle ultime 19 edizioni sono il simbolo tangibile dell’attenzione che si debba riporre nei numeri prima di prendere come oro colato le voci popolari.

Gianluigi Buffon, Giorgio Chiellini, Claudio Marchisio, Paolo De Ceglie; e poi Pavel Nedvěd e David Trezeguet: sono i sei uomini che facevano parte della rosa della Juventus in Serie B e che, a vario titolo, ci sono ancora. Sono sei uomini che hanno sposato la Vecchia Signora, e che hanno saputo superare una pesante crisi matrimoniale; oggi sono qui e, più di tutti gli altri, l’hanno meritato.

Alessandro Del Piero: il capitano, la guida dello spogliatoio nella gloria, nella polvere e poi ancora nella gloria, colui che darebbe chissà cosa per accarezzare, ancora una volta, l’erba del prato di Berlino. Una separazione, quella tra Alex e la Juventus, traumatica,  mal gestita ed evitabile, almeno nei modi, se non nei tempi; un pensiero non può non essergli rivolto.

La società, in particolare nelle figure di Andrea Agnelli e Giuseppe Marotta: hanno avuto l’indiscutibile capacità di proiettare la Juventus nel futuro, trasformandola nella prima squadra italiana a vocazione europea, sia dal punto di vista sportivo, sia dal punto di vista economico e organizzativo. Lo Juventus Stadium, la crescita dei ricavi, la bravura nella scelta degli uomini, sono il frutto di un lavoro encomiabile che, però, va ancora perfezionato, senza commettere l’errore di sentirsi arrivati.

Antonio Conte: l’artefice della ricostruzione, l’unico uomo che poteva essere, a suo tempo, in grado di prendere un cumulo di macerie ed edificare un grattacielo, arredandolo, dotandolo di tutte le comodità, imbandendo la tavola per un banchetto luculliano. Antonio Conte ha, però, avuto il grande (imperdonabile, alla luce dei fatti) torto di non fidarsi della qualità delle materie prime da utilizzare nella preparazione del menu.

Massimiliano Allegri: impossibile, a questo punto, non ammettere l’errore fatto (da tanti, ma soprattutto dal sottoscritto) al momento della sua nomina. Ha saputo entrare in punta di piedi, guidare con mano morbida, ma sempre sicura, un gruppo abituato alle vittorie, ma scottato dall’abbandono di Conte; ha inserito, progressivamente, la sua idea di gioco, gestendo le forze fisiche e psicologiche della squadra in maniera impeccabile.

Ha avuto, sì, fortuna nei sorteggi iniziali e in alcune fasi della doppia semifinale contro il Real, ma chi può pretendere di arrivare in fondo senza una componente aleatoria a proprio favore? Anche lui, così come a suo tempo lo fu Conte, è probabilmente l’uomo giusto, al posto giusto e nel momento giusto, in grado di gestire una squadra già matura e di consentirle la prosecuzione in un ciclo vincente, valorizzando al massimo gli ingredienti a sua disposizione per realizzare un piatto a cinque stelle.

6 giugno 2015: la data che, dall’Alpi a Sicilia, tutti aspettiamo. La Juventus unisce da Nord a Sud, sia chi la tifa, sia chi la avversa; lo sport è anche questo, inutile fingere che il tifo contro sia qualcosa di immorale, è nella natura dell’uomo. Dalla B a Berlino, ma anche da Berlino a Berlino, per i campioni del mondo del 2006 Barzagli, Pirlo e Buffon. A volte può accadere che i sogni si avverino, anche se non si parte favoriti, anche se si hanno di fronte dei giganti, anche se la montagna da scalare sembra insormontabile.

Ma in salita, si sa, è vietato mollare: non provarci, non dare tutto, avere paura sarebbe un delitto e significherebbe essere mangiati dalla montagna. È proprio lì, allora, che è necessario produrre il massimo sforzo, mettendoci tutto quello che è rimasto nel cuore, nella testa e nelle gambe e sperare di averne più degli altri, anche con l’aiuto della buona sorte