Rudi caro, è l’ora del tè
Così diceva una celebre battuta di Anita Radcliffe, moglie di Rudi, all’interno dell’arcinoto film d’animazione La Carica dei 101. Lo stesso invito vien voglia di rivolgerlo a un altro Rudi, forse persino più conosciuto del celeberrimo padrone di Pongo, l’allenatore della AS Roma Rudi García, che stanotte è rientrato nella Capitale dopo una gita a Milano in cui ha rimediato l’ennesimo occhio pesto della sua stagione.
Dopo la seconda sconfitta rimediata a San Siro nel giro di due settimane, infatti, la squadra giallorossa si ritrova ancora a quota 64 punti in classifica, con un’unica lunghezza di vantaggio sui cugini laziali che, stasera, hanno la ghiotta occasione di controsorpassare i rivali e reissarsi al secondo posto (Inter permettendo). Ma non è solo una questione di graduatoria: la Roma non convince più nemmeno il più benevolo degli osservatori. Da dicembre.
L’involuzione del gioco s’è ormai arrestata da tempo perché il fondo è stato toccato già tra febbraio e marzo; solo che, alla decadenza, non ha mai fatto seguito una risalita convincente ma solo episodici cenni di disgelo che, proprio come la proverbiale rondine sola, non hanno veramente fatto primavera. Le prestazioni di cui gli uomini di García si sono resi protagonisti negli ultimi tempi sono ancora fin troppo in linea con quelle sconcertanti a cui si assisteva un paio di mesi fa – con qualche sporadica eccezione (cfr. gara col Sassuolo) -, al punto che persino due successi come quelli ottenuti contro Napoli e Genoa non hanno convinto particolarmente né il pubblico, né la critica.
Il requiem di Rudi.
Quel dannato 7-1 interno col Bayern ha fatto malissimo ai capitolini, l’abbiamo già più volte detto e altrettante ripetuto (anche se non si sottolineerà mai abbastanza quanto quella disfatta abbia minato fin nelle fondamenta la convinzione e l’autostima dei giocatori giallorossi). Però è anche vero che dal 21 ottobre a oggi sono passati sei mesi e mezzo, nei quali il buon García avrebbe anche potuto – e dovuto – provare a inventarsi qualcosa di diverso per rilanciare la squadra.
E invece no: il tecnico transalpino ha insistito sui suoi fedelissimi con una lealtà che spesso e volentieri sembrava sfociare più che altro nell’accanimento terapeutico, lasciando a marcire in panchina i vari Paredes, Sanabria, Uçan e Verde (che pura ha avuto un momento di gloria prima di eclissarsi completamente negli ultimi due mesi). Pjanić, Totti e Gervinho sono solo i tre nomi più importanti tra tutti quelli che non hanno reso secondo le aspettative in questo 2015; il bosniaco, anche ieri sera, ha avuto e sta tuttora soffrendo di acciacchi fisici che vanno e vengono ma non ha mai realmente tirato il fiato, l’ivoriano (che ha probabilmente chiuso il suo anno per infortunio proprio contro il Milan) ha perso una bella fetta di stagione partecipando alla Coppa d’Africa e, comunque, non ha mai mostrato lungo l’arco della stagione le qualità che l’hanno reso un fattore nei successi giallorossi dell’anno scorso.
Totti, invece, merita un discorso a parte perché il capitano della Lupa non è e non sarà mai percepito come i suoi compagni da pubblico e spogliatoio. Eppure le primavere sono quasi 39 e non è pensabile che il 10 capitolino, per quanto insostituibile nello spogliatoio nonché tutt’ora dotato di colpi che altri giocatori nemmeno si sognano, possa giocare da titolare come ha fatto quest’anno. Poi, sia chiaro, il Pupone non è stato sempre il principale problema della Roma, eh, anzi. Però sarebbe il caso di pensare a un prosieguo della carriera in stile Altafini (nella sua versione juventina) e cioè da grande campione che entra a mezz’ora dalla fine e decide la partita. Perché le leggi che governano il corpo umano valgono per tutti e, anche se probabilmente ha finito per credere di non esserlo più, anche Francesco Totti è un essere umano.
Ma anche l’impiego continuativo dall’inizio del suo capitano, in ultima analisi, non dipende dal giocatore – per quanto influente – ma da García che, davvero, negli ultimi cinque mesi ha dimostrato ampiamente di averci capito poco e di non essere mai riuscito a prendere contromisure efficaci per correggere la manovra sempre più sterile e lenta, i ritmi sempre più blandi e gli errori individuali sempre più comuni.
E, tornando al discorso iniziale, la classifica è lì a dimostrarlo perché, di questi tempi, l’anno scorso la graduatoria recitava 85. Un +21 del passato sul presente che non ammette repliche. E se la stagione passata la Roma è arrivata seconda con un ammontare finale di punti che in alcuni anni avrebbe garantito lo scudetto, a questo giro i giallorossi rischiano seriamente di non toccare nemmeno quota 70, un insulto al valore della rosa e alle ambizioni dell’estate 2014, nonché un fallimento che diverrebbe di proporzioni enormi con tanto di rischio di non arrivare in Champions League, eventualità che Walter Sabatini ha già puntualizzato che non si debba verificare.
Prima di tuffarsi nel rush finale, però, il buon Rudi si rilassi un attimo e si prenda un tè con Sabatini e la società giallorossa. Ormai il presente è andato ma il futuro prossimo della Roma è ancora tutto da scrivere e la squadra merita seriamente che ci si interroghi per migliorarla e renderla competitiva perché la sensazione è che il potenziale della rosa sia quello visto un anno fa, non quello andato in onda negli ultimi nove mesi.
A meno che quel famigerato tè non abbia l’amaro retrogusto del congedo dai colli romani.