Quante volte l’avrete ascoltata la canzone che è chiusa in questo album, soprattutto se siete avviati verso la cinquantina. Quante volte l’avrete perfino associata al pallone, per colpa di quel titolo che rimanda per forza di cose alla Scala del Calcio. Eh beh, non si giocheranno il cielo a dadi, ma un bel po’ di dignità sportiva sì, Mancini e Garcia, l’uno contro l’altro nella notte in cui Inter e Roma si ritrovano faccia a faccia a San Siro. Entrambe ferite, entrambe desiderose di riscattarsi. Entrambe intenzionate a mettersi alle spalle il più presto possibile questa stagione.
Poco da dire in casa giallorossa: tanta sfortuna, tanti infortuni, tante scelte sbagliate, tante situazioni imbarazzanti. Doumbia, perché? Ibarbo, perché? Dare via Destro, perché? La squadra non ha identità, la testa è andata chissà dove, dal ko con il Bayern il crollo è stato verticale, con pochissimi alti e una serie di bassi da capogiro, talmente bassi da consentire alla Juventus di vincere lo scudetto senza disturbarsi neanche troppo, spingendo il giusto in campionato, e riservando le reali energie a una Champions League che l’ha promossa tra le prime quattro d’Europa.
In casa nerazzurra, invece, l’arrivo di Mancini non ha risolto quei problemi che evidentemente non erano tutti colpa dell’allenatore. Mazzarri avrà pur sbagliato qualcosa, ma il disagio vero, in casa nerazzurra, era (ed è, tuttora) alla base: Thohir. Viene, il presidente indonesiano, e dice di voler rendere grande la squadra. Il mercato, però, parla una lingua diversa dalla sua: i giocatori arrivati in questi suoi primissimi anni sono tutt’altro che di alta fascia, e allora… qualcuno gli dica che l’Inter, grande, si fa in tutt’altra maniera. Qualcuno gli suggerisca che se davvero vuole riportare i nerazzurri a competere prima in Italia e, poi, in Europa, c’è da fare scelte completamente diverse. Basta guardare a una decina di anni fa: no Medel, né Dodô per intenderci, e forse neanche Shaqiri, e a questo punto neanche Podolski (ma sul tedesco il discorso è diverso, il suo flop è stato inaspettato). Servono giocatori di livello, come quelli che solo qualche anno fa le luci a San Siro le accendevano davvero.
Due situazioni diverse ma in questa stagione piuttosto comuni, dunque, quelle di Inter e Roma. Siamo partiti dall’album di Roberto Vecchioni per passare, in breve, a parlare di pallone, senza scomodare troppo la musica di una Milano che non vive più il calcio come uno sport che manda il petto in fuori. In Capitale, invece, un po’ di orgoglio si sente, ma solo sulla sponda biancoceleste. La lupa è ferita, smarrita, disorientata, debole.
Non si giocheranno il cielo, dunque, Inter e Roma stasera, e le luci a San Siro che nonostante tutto si accenderanno non saranno affatto luci pregne di gloria. Solo di speranza, speranza bella e buona. Quella speranza che anima i sentimenti di due allenatori, due squadre, due tifoserie stanche di questa continua altalena di emozioni. Due città che sperano presto di tornare a sfidarsi con pistole e guanti bianchi, e farlo non più per le briciole, ma per quella vetta della classifica che più passa il tempo, più appare lontana e irraggiungibile.