Lungimiranza e contingenza, ragione e passione

La Juventus è in semifinale di Champions League. Non capitava da dodici anni. Dodici. Un’eternità per una squadra abituata, nel periodo a cavallo tra la metà degli anni ’90 e i primi anni 2000, a giocarsi ben quattro finali, con addirittura tre finali consecutive dalla stagione ’95-96 a seguire.

Il risultato è eccezionale, soprattutto alla luce delle aspettative di inizio stagione, quando ci si attendeva un cammino più breve, prevedendo, ragionevolmente, un capolinea fissato tra gli ottavi e i quarti di finale. La formazione bianconera, però, è stata brava e fortunata (soprattutto, sin qui, nel sorteggio), tanto da superare i pronostici.

Arrivati a questo punto, pur consci di essere, tra le quattro pretendenti ancora in corsa, quella più estemporanea, è giusto e lecito che i bianconeri continuino a combattere e sognare di raggiungere un traguardo che avrebbe del sensazionale.

Non sarebbe, peraltro, il primo caso in cui una squadra outsider raggiungesse il primo posto in una competizione calcistica di primo livello; andando a memoria, infatti, non si possono dimenticare casi quali la vittoria del Porto di Mourinho nel 2004, né quella del Chelsea di Di Matteo nel 2012, fino ad arrivare alla finale dei Mondiali del 2006 di Berlino, nella quale l’Italia conquistò l’alloro, partendo senza i favori del pronostico.

In questi casi, però, deve subentrare, per la dirigenza di una squadra come la Juventus, la giusta lucidità per programmare il futuro, attraverso la fredda analisi del valore della rosa per migliorarla, se si vuole realmente dare continuità al risultato raggiunto. Occorre prevedere di potersi e doversi affidare a componenti ulteriori, e più solidi, rispetto alla fortuna nel sorteggio e alla capacità della squadra di rendere in campo più del previsto.

L’obiettivo nel medio termine deve essere quello di (ri)creare un gruppo forte, capace di stare con regolarità nel novero delle principali squadre europee, riproducendo ciò che accadde nel primo periodo di Marcello Lippi sulla panchina juventina. Sedersi sugli allori, pensando che la rosa attuale abbia bisogno solo di pochi aggiustamenti, sarebbe un errore imperdonabile.

Per far sì che la Juventus parta costantemente tra le favorite (magari non per la vittoria finale, ma quanto meno per il raggiungimento delle semifinali), è necessario un salto di qualità importante, poiché il paragone attuale con le potenze europee, al di là di quello che sarà il risultato finale di questa stagione, evidenzia ancora un divario notevole.

Marotta, in primo luogo, dovrà dunque sfruttare al meglio la rigenerata attrattività della Juventus, sull’onda di questa positiva stagione europea (che sarà, naturalmente, una vetrina importante agli occhi dei calciatori che ambiscono a grandi palcoscenici). La società dovrà, inoltre, essere in grado di indirizzare al meglio le (in parte impreviste) risorse economiche derivanti dal prolungato cammino in Champions, per ridisegnare e potenziare la rosa in modo significativo, anche (se necessario) sacrificando qualche pezzo da novanta, proprio come avveniva qualche lustro addietro.

Detto ciò, e tornando al momento contingente, non si può fare a meno di stringere i denti fino all’ultimo minuto, sperando che si possa creare quell’alchimia fatta di carattere, capacità e un (bel) pizzico di fortuna, necessari a raggiungere un traguardo che avrebbe dell’incredibile.

La Juventus ha dalla sua la (relativa) serenità di giocarsi le prossime due (o tre, magari…) partite sapendo di aver già fatto più di quanto richiesto a inizio stagione e, come già scritto nel condivisibile editoriale di ieri, ha tutto da guadagnare.

Dunque sognare non costa nulla, e può magari aiutare a superare ostacoli apparentemente insormontabili; se però è vero che l’ultima squadra capace di vincere due edizioni consecutive dell’allora Coppa dei Campioni fu il Milan, negli ormai lontani 1989 e 1990, forse l’avversario statisticamente meno temibile potrebbe essere proprio il Real Madrid di Carlo Ancelotti… se è vero che sembrano più soggetti a essere, prima o poi, eliminati, perché non proprio in semifinale?

Il Bayern di Monaco, in un doppio confronto, appare la squadra più difficile da superare, quindi, potendo scegliere tra le due spagnole, pur sapendo che le probabilità di passaggio del turno sono ridotte all’osso (sulla scorta della evidente differenza di valori assoluti tra la rosa della Juventus e quelle delle altre tre), un nuovo incontro con il vecchio amico/nemico Ancelotti, parrebbe il male minore.

E se è vero che i dirigenti devono avere lungimiranza, nessuno vieta di vivere l’attimo, cercando di coglierlo, con la passione e la follia che merita.

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Paolo Guaragna