Napoli e Fiorentina sono in semifinale di Europa League. È questo il verdetto (o uno dei verdetti) sancito da un giovedì che ha chiuso una tre giorni importante, vista anche la promozione della Juventus tra le prime quattro regine del continente.
Se la Fiorentina, sorteggio alla mano, partiva comunque come favorita, colpisce in positivo l’exploit del Napoli, che questo quarto di finale l’ha iniziato alla pari col lanciatissimo Wolfsburg, ma che certo non si sarebbe aspettato una scorpacciata come quella dell’andata. O meglio: non l’avrebbe prevista nessuno dei detrattori – numerosissimi, specie in Italia – di un Rafa Benítez lontano dai fasti di un tempo ma all’ennesima semifinale in carriera. I partenopei si sono presi la giusta rivincita dopo un anno sotto l’occhio del ciclone; un anno iniziato con l’inopinata sconfitta nel preliminare con l’Athletic, e un cammino in campionato che ha lasciato perplessi rispetto alle ambizioni (proclami?) delle ultime estati.
Adesso gli azzurri, che forse avrebbero preferito (anche economicamente) il passaggio ai gironi del martedì e del mercoledì a questa Europa affascinante eppure poco remunerativa, possono cercare tra il San Paolo, una tra Firenze, Kiev (casa del Dnipro quest’anno) e Siviglia (domani occhio al sorteggio) e Varsavia l’accesso a quella competizione sfumata troppo presto in stagione, popolata di alieni (Barcellona, Real Madrid, Bayern…), guardata da tutti con la bava alla bocca. Vero che, complice il cambio nei regolamenti (sul modello dell’Eurocup del basket e dell’ex Heineken Cup del rugby), chi vince gioca la Champions League, ma sarebbe stupido ridurre l’importanza del momento al solo ascensore per il piano di sopra: a Napoli un trofeo internazionale lo aspettano da un quarto di secolo, da quando ci giocava l’alieno vero.
Lo stesso si può dire della Fiorentina, che il suo quarto di ritorno lo ha dominato (già partiva da un positivo 1-1 in Ucraina) ma ci ha messo un po’ a sbloccarla, senza mai realmente metterla in ghiaccio se non a tempo scaduto. Forse il ricordo, scaramantico, della beffa del 2008 contro i Rangers ha raggelato i tifosi del Franchi, o forse no: resta che la Viola si è imposta con personalità genuinamente internazionale, ed è proiettata tutta sul grande traguardo europeo. Anche qui, con due obiettivi per sognare: riprendere un discorso Champions interrotto troppo tempo fa e dare un trofeo continentale a un popolo che aspetta dalla Coppa delle Coppe 1960-1961.
A due partite da Varsavia, resta fondamentale credere in sé stessi ma mantenere anche i piedi per terra: Dnipro e (soprattutto) Siviglia, qualificate in maniera tirata scongiurando solo all’ultimo lo spettro dei supplementari, non staranno a guardare. I primi hanno la spensieratezza di chi non pensava si sarebbe trovato in corsa ad aprile e a maggio, i secondi l’esperienza, il palmares recente e il tasso tecnico per bissare il successo dello scorso anno. Quando tutto sembrava apparecchiato per la Juventus – all’epoca obiettivamente la più forte delle ultime quattro – e invece fu un affare tutto iberico; la conferma che le partite si vincono giocando e che non esistono passaggi facili, a certi livelli della competizione.