Partiamo dal fondo, da quella punizione che è andata a scheggiare la traversa sul finire della sfida in terra monegasca: tiro beffardo, marchio di fabbrica di Pirlo quando deve risolvere in prima persona. Fosse entrata in rete, sarebbe stata la pietra tombale sulle ambizioni del Monaco; ma anche così è servita a perdere tempo e aggiungere tensione a una squadra condannata a segnare (e condannata proprio dall’assenza di un attaccante di peso).
Questo per dire che il passaggio della Juventus in semifinale di Champions è avvenuto proprio così: vale tutto, conta tutto, non si butta via nulla. A costo di snaturare il gioco che l’ha issata fino ai quarti di finale (e fino al dominio totale in terra nostrana). Baricentro basso, ritmo lento, difesa a tre dietro: tutto pensato non tanto per imporre il proprio gioco (segnando un gol in trasferta, il passaggio del turno sarebbe stato ipotecato ben presto), quanto per mettere in difficoltà un attacco di per sé asfittico.
La Juventus domina in Italia, ma in Europa ricorre a questi mezzucci, potrebbe dire qualche detrattore. Ma è anche vero che a Torino i bianconeri avevano vinto senza dominare; e non si può non dire che non ci fosse la pressione dovuta all’essere la squadra favorita (contro il Borussia Dortmund, per esempio, non era stato così; e di qui a fine coppa non lo sarà più).
C’era Pirlo (per la fortunata serie oldies but goldies), ma mancava Pogba (e mancherà ancora). Nel prepartita, Buffon aveva detto che era «presto per fare voli pindarici», e il gioco espresso in effetti non lo permette. Men che meno pensare ai nomi delle possibili avversarie: Barcellona, Bayern Monaco, Real Madrid.
E il punto è proprio qui. La Juventus è un’intrusa tra le grandissime? Sì e no. Sì, perché il giro d’affari dei bianconeri (e di qualsiasi squadra italiana) è di molto inferiore alle altre tre fortunate; no, perché la costanza ad alto livello è prerogativa di tutte queste squadre, e la Juventus lo ha dimostrato nella prima mezz’ora dell’ultima partita: subito servito il 2-0 a una Lazio che veniva da otto vittorie consecutive, ed esprimeva il gioco più bello e concreto del campionato. Costanza e dominio, a dispetto di tutto.
E adesso, appunto, c’è l’opportunità per fare un salto ulteriore. Il Bayern è inquietante: si pensava che il 7-1 sulla Roma fosse un episodio, e invece ecco il 7-0 sullo Shakhtar Donetsk, e adesso il Porto rimesso in riga per 6-1. Il Barcellona di Luis Enrique ha fatto progressi rispetto al tradizionale tiki-taka: gioco più diretto, maggiore capacità di adattarsi all’avversario, e 42 vittorie in 50 partite (avete letto bene). Del Real Madrid campione in carica credo sia anche inutile parlare.
Quindi? Quindi, paradossalmente, la Juventus ha solo da guadagnare. Può solo fare un salto di qualità: perché quando sei tra le migliori quattro, oltre alla tecnica entrano in gioco il carattere, lo spirito di gruppo, la leadership (quella che a Pirlo non manca) e anche la resilienza. Col carattere il Chelsea peggiore degli ultimi anni ha vinto la Champions 2012; con la leadership e la capacità di recupero il Real Madrid ha portato a casa la Décima.
Ancora non sappiamo quale sarà l’avversario dei bianconeri; quello che è sicuro è che l’altra semifinale sarà una finale anticipata. In ogni caso, da qui in avanti vale tutto e anche di più. E la lezione dei quarti di finale è stata che, se la Juventus non è mai stata nettamente superiore al Monaco e ha passato il turno, questo dev’essere soltanto un motivo in più per crederci anche contro squadre più blasonate.