Home » L’ansia di non prestazione

Un campionato con l’X-Factor. Ci siamo, il campionato ha ormai espresso le sue velleità di classifica e stante una fisionomia ormai consolidata in capo e coda, comincia a declinare in pareggi di piccolo cabotaggio, un’aurea mediocritas che sa di minestrone riscaldato e finale di stagione svenduto nel cestone delle offerte in fondo al magazzino.
Ha cominciato nel pomeriggio di sabato la Sampdoria di Mihajlović, “Mister X” ai tempi di Bologna e Fiorentina, contro un Cesena dalle motivazioni superiori, offrendo al pubblico un inviolato pareggio. Nel pomeriggio di domenica poi si sono aggiunte altre dieci squadre, per un totale complessivo di 6 pareggi su 10 incontri.
Sassuolo e Torino, come anche Chievo e Udinese hanno impattato per 1-1, offrendo agli spettatori almeno l’illusione di aver portato il pallone. Là nel ventre molle della classifica, dove una posizione equivale all’altra, senza soverchie preoccupazioni di piazzamento e con i timori residuali ridotti al minimo, la posta spartita significa moto rettilineo uniforme verso la stabilità rassicurante, nella teporosa attesa di un nuovo ciclo stagionale. E non importa se il gioco sarà sempre lo stesso, se la crescita zero attenua la visibilità prospettica e la vita si ripete sempre uguale, come in un piccolo mondo antico, esente da mutamenti tellurici.
Anche Empoli e Parma, sebbene con un più alto numero di reti, sono approdate al medesimo risultato. Un brodino che però assicura il sostentamento ai toscani, avviati verso una salvezza in principio apparsa maggiormente ostica (grazie alla forza delle idee del proprio allenatore e a giocatori come Rugani, il miglior prospetto della serie A) e conserva la dignità di un Parma che seppure con un piede e due scarpe in B, ci tiene a onorare la propria storia degli ultimi venti anni.
Un po’ diversi, invece, gli altri pareggi. La Roma, che ormai ha sigillato nel cassetto i sogni di fasti tricolore, appare scotta e blandita, un po’ come il Brasile all’ultimo mondiale dopo il “Mineirazo” subito dai tedeschi. I pareggi in casa giallorossa non sono più una novità ma una conferma, in questa stagione, ed ecco che la motivata Atalanta, che ancora poteva nutrire qualche velatura frontale per il proprio futuro, mettendo in campo motivazioni e sale q.b., ha potuto imbarcare al ritorno un punto che è carburante residuo per terminare il quadro della salvezza.
L’ultimo dei pareggi è anche quello più fitto di noia. Lo 0-0 tra Inter e Milan ha intristito tanto i tifosi di ambedue le sponde meneghine – che almeno nella stracittadina intravedevano un miraggio di riscatto e un auspicio per il futuro – sia tutti coloro che, pur senza tifare per le dirette interessate si attendevano, se non un’esibizione di spessa caratura tecnica, quanto meno un certamen agonistico d’altri tempi. Ma per come è andata, la sferizzazione del risultato trova corrispondenza nella sensazione metaforica di appesantimento genitale che ha prevalso al triplice fischio.

Per quanto ancora dovremo sopportare questa teoria di anticalcio a venti squadre non è dato saperlo, salvo credere a saltuari proclami federali, puntualmente sottaciuti quando ci sarebbe da commentare quella specie di “Morte nel pomeriggio” dai nostri campi, in onda nel mese di aprile.
Confusi in un pareggio si avviano al piccolo trotto verso le stalle festive la maggior parte dei calciatori. Cosi, senza vinti nè vincitori, in un sostanziale pareggio epicureo dei sensi. L’atarassia del pallone. L’X. E porti pazienza chi si aspettava di più.