Inter-Milan finisce così com’era iniziata: zero a zero. E, alla fine, è stata sicuramente maggiore l’attesa, l’adrenalina e la voglia del pre-partita che lo spettacolo della gara stessa.
Una partita che si può definire in un modo solo: brutta. Che poi, tra le due, sia stata l’Inter quella a crederci di più, a giocare meno peggio — ma più per demeriti cronici del Milan di quest’anno, che si è fatto dominare a San Siro anche da Atalanta ed Empoli — e a meritare un eventuale vantaggio è stato altrettanto palese. Di sicuro, però, non resterà nella memoria dei tifosi e degli amanti del calcio come “la partita della vita”. Quelle, purtroppo, adesso hanno una casa diversa da San Siro.
Da una parte abbiamo visto un allenatore — forse — (Inzaghi) che è partito con un solo obiettivo, ossia non prenderle, e c’è riuscito. Il 4-3-3 con il tridente Suso-Ménez-Bonaventura era in realtà un 4-5-1 che ha dato l’alibi al francese per non tornare indietro a difendere in fase di non possesso e ha intasato la propria metà campo, non dando modo all’Inter del primo tempo di trovare spazi e ritmo. Il solito calo fisico della ripresa — perché a rincorrere la palla ci si stanca di più degli avversari — ha determinato l’allungamento degli spazi tra i reparti, in cui i nerazzurri sono stati bravi a infilarsi creando i presupposti per delle azioni pericolose.
Dall’altra parte, invece, abbiamo visto un tecnico (Mancini) che ha cercato di trovare delle contromisure alla cattiva forma di alcuni suoi uomini facendo delle mosse a sorpresa, ma che è riuscito a dare vigore alla sua squadra solo quando il Milan è calato di intensità, di attenzione e di forza fisica. Ha l’unico merito — ma non così sottovalutato — di averci perlomeno provato, a vincere questo derby, a differenza del dirimpettaio in panchina. Qualche episodio sfortunato come la parata involontaria di Diego Lopéz e il rigore non concesso per il fallo di mano di Antonelli (non così netto come sembra, ma nemmeno inventato) non gli ha permesso di portare a casa i tre punti, ma la partita ha il sapore dell’ennesima occasione sprecata.
Sì, occasione sprecata. Da entrambi.
Da Inzaghi per provare a dare una sterzata a una stagione che continua pericolosamente la sua curva verso l’inadeguatezza e la mediocrità (di idee, di grinta, di forma e di tattica); da Mancini per provare a dare una continuità di risultati a una squadra che deve ritrovare prima di tutto la fiducia, prima che un’identità di gioco (che con il lavoro prima o poi arriverà).
Sperando, in tutta questa pochezza, che sia l’ultima volta che assistiamo a un derby di Milano così dimesso.