Tre campioni diversi
Cosa lega tra loro il Chelsea, il PSV Eindhoven e la Juventus?
In realtà niente se non che tutte e tre le squadre menzionate hanno più o meno ufficialmente vinto i rispettivi campionati. Se gli olandesi si sono già matematicamente laureati campioni di Eredivisie, bianconeri e Blues stanno ancora aspettando i crismi dell’ufficialità ma il vantaggio accumulato sin qui è tale da vivere con parecchia tranquillità le ultime gare della stagione.
Alla Vecchia Signora mancano ancora sette partite di Serie A prima di assaporare il quarto scudetto di fila, ma i più di dieci punti messi tra sé e le romane sono un margine così consistente che ci vorrebbe un autentico miracolo affinché la Roma o la Lazio (che nel dubbio è stata regolata ieri sera con un secco 2-0) possano sperare di rientrare in corsa. Per i miracoli, però, né Pioli né Garcia paiono particolarmente attrezzati e dunque la squadra di Allegri può serenamente concentrarsi sul prossimo impegno di Champions League, sapendo che potrebbero bastare giusto un paio di vittorie nelle prossime giornate per mettersi in tasca il titolo e spernacchiare per l’ennesimo anno tutti i rivali.
Forse chi, a Vinovo, ha particolarmente voglia di guardare dall’alto in basso tutti gli altri è proprio quel Massimiliano Allegri che in estate era stato accolto con enorme scetticismo dagli stessi juventini, mietendo ai tempi consensi trasversali sul fatto che fosse l’uomo adatto per sabotare la macchina perfetta di Conte più che per vincere di nuovo. Abbiamo infatti ancora tutti nelle orecchie le dichiarazioni con cui Marotta accolse Allegri a Torino definendolo «un allenatore con le stesse caratteristiche di Conte», così come ricordiamo le risate soffocate a stento che sono arrivate subito dopo l’uscita del DG torinese. Chiunque ha pensato fosse esagerata e figlia della stretta contingenza. Ebbene, il buon Max non solo ha eguagliato quanto fatto dall’attuale CT della Nazionale nel suo primo anno di mandato, ma rischia pure di migliorare il rendimento bianconero in Coppa dei Campioni e perfino vincere la Coppa Italia, traguardo solo sfiorato dall’ex capitano juventino. Cosa gli si può dire se non chapeau?
Molto diversa è invece la situazione che stava vivendo il Chelsea quest’estate. Il club londinese non arrivava da una storia recente di dominio in campionato come poteva essere la Juventus di Allegri, tutt’altro: era infatti dal 2010 che mancava il titolo dalla bacheca dello Stamford Bridge e gli ultimi quattro anni sono stati un dominio mancuniano completo, con United e City impegnati a rimbalzarsi la supremazia nazionale. La squadra di Mourinho, dopo un primo anno di assestamento in cui ha fatto comunque registrare un terzo posto in Premier League e l’approdo alle semifinali di Champions League, per questa stagione s’è presentata ai nastri di partenza con un organico già competitivo ulteriormente migliorato dall’arrivo a Stamford Bridge di Courtois, Filipe Luís, Diego Costa e Fàbregas, non proprio i primi pivelli.
Trovato in pochissimo tempo l’amalgama (senza nemmeno bisogno di comprarlo nonostante le grandi risorse del presidente), i Blues hanno subito imposto il loro ritmo al campionato vincendo ben undici delle prime tredici uscite stagionali. A tutt’oggi, i ragazzi di Mou hanno perso punti in due sole occasioni e sono imbattuti da Capodanno: un ruolino di marcia impressionante soprattutto se consideriamo che al momento quella inglese è la lega migliore, più competitiva e prestigiosa del mondo. Ovviamente José Mourinho è ancora una volta il deus ex machina dei successi del club di Abramovich e si appresta a festeggiare, probabilmente con qualche giornata d’anticipo visti i dieci punti sull’Arsenal secondo, il ritorno al successo patrio dei suoi e il quarto scudetto dell’era russa dei Blues, nonché il terzo con lui seduto in panchina. In attesa di rivedere i suoi ragazzi alle prese con la Champions il prossimo anno (non proprio benissimo a questo giro). Siamo ragionevolmente certi che in questo momento Mourinho sia decisamente più happy che special, anche se dubitiamo sinceramente che uno come il portoghese possa lasciarsi andare a simili ammissioni di gioia prima d’aver vinto matematicamente.
Infine le note olandesi. A digiuno di titoli nazionali da ancor più tempo del Chelsea, il PSV di Cocu s’era rivelato un più che effimero fuoco di paglia lo scorso anno tanto quanto questa stagione ha dimostrato di essere una corazzata semi inaffondabile. Ajax, Feyenoord, AZ: non importa il nome dell’avversaria, le Lampadine hanno sbaragliato qualunque ostacolo gli sia parato davanti lungo la trionfale campagna di Eredivisie 2014/2015.
31 partite giocate, 26 vittorie, 84 gol segnati (venti in più della seconda miglior realizzatrice); i punti sono già 79, le lunghezze di vantaggio tredici (in attesa dell’Ajax, oggi, anche se ormai le cifre sono buone solo per gli annali): per avere un’idea, solo tre volte negli ultimi undici campionati olandesi si è andati oltre quota 80 e al PSV mancano ancora tre gare. Questi sono freddi numeri che solo approssimativamente riescono a restituire un’immagine fedele del dominio che i Boeren hanno esercitato sulla lega olandese quest’anno perché la supremazia di Depay e compagni è stata totale: tecnica, offensiva ma soprattutto mentale. Quel che ha davvero impressionato lungo il corso dell’anno è stata la capacità del PSV di vincere mentalmente le partite prima ancora di giocarle (e questa è forse l’unico punto comune a tutte e tre le squadre analizzate oltre al fatto che sono vincenti) ed è su questa granitica convinzione del suo gruppo che poi Cocu ha plasmato la vittoria.
Faccia pure gli scongiuri chi ancora non è algebricamente certo della vittoria finale e gioisca chi invece ha tra le mani dell’argenteria nuova di pacca: al Bayern Monaco campione di Bundesliga più o meno da gennaio ecco ora accordarsi altre tre società che hanno visto premiati i loro sforzi sul campo e a cui i risultati, stavolta, hanno dato ragione. Con pieno merito, tra l’altro.