Molto più che la Champions del rugby

La Champions del rugby, l’hanno chiamata per molto tempo. Era un modo, sì semplicistico eppure efficace, di presentarla a chi di sport conosce solo il calcio, o a chi con l’ovale non ci ha proprio mai avuto a che fare. Del resto quell’Heineken Cup, nome storico (dal 1995 al 2004) ma pur sempre etichetta, sponsor, marchio, non convinceva più di tanto. Come un trofeo Birra Moretti, più o meno: eppure era molto di più, era il sogno di ogni rugbista, almeno a livello di club.

Ecco, il secondo sogno, la seconda cosa più bella che un giocatore potesse sognare; la terza, se si conta anche la Coppa del Mondo, figlia (come le coppe riservate ai club) del ventennio del professionismo e non della tradizione del Sei Nazioni, e tuttavia entrata subito nel cuore dei tifosi e nella storia di questo sport, recente e non.

Senza ammorbare i nostri lettori del sabato con i dettagli (che si trovano ovunque, dato il dibattito e le frizioni di tutto lo scorso anno), l’Heineken Cup è morta, ma ne è nata subito l’erede. European Rugby Champions Cup, per un nome che richiama la sorella maggiore del calcio, quella che fa passare la notte in bianco agli appassionati dall’altra parte del mondo, un po’ la nostra NBA. Il bacino è più ridotto (il rugby è sport mania in poche zone d’Europa, tutte in occidente), ma la qualità c’è tutta: tantissimi giocatori di livello internazionale (tutti quelli del Sei Nazioni, più chi viene dagli antipodi e sfrutta il budget del Top 14 francese), investimenti importanti, e un ritmo di gioco secondo solo al trofeo recentemente vinto dall’Irlanda. Vincere la Champions Cup vuol dire essere campioni d’Europa, magari mettere nel dimenticatoio la recente stagione internazionale: passo necessario nell’anno dei mondiali.

Oggi e domani, per due ore, il consiglio è di aprirsi una finestra su un altro mondo. Parliamo di semifinali, con sguardo verso Londra, verso quella Twickenham che il 31 ottobre ospiterà la finale iridata; due squadre francesi ricevono un’inglese (Saracens) e un’irlandese (Leinster), per l’occasione negli stadi del calcio. Non male il colpo d’occhio dello Stade Geoffroy-Guichard, abituale casa del Saint-Étienne nella Ligue 1, nell’ennesimo assalto europeo del Clermont; né ci annoieremo domenica con lo spettacolo del Vélodrome (che non ha bisogno di presentazioni), teatro una Tolone-Leinster dai mille temi e motivi.

Avremo soprattutto l’occasione, da italiani, di ammirare i migliori. Di capire quanto siamo indietro, dove avremmo dovuto essere, dove potremmo andare con strutture diverse e un approccio nuovo. Oppure ci divertiremo e basta, come bisognerebbe fare di fronte a un evento sportivo: senza pensare, per una volta, a quale campionato sia migliore, a chi è messo meglio di chi, alle invidie o ai risentimenti. Per disintossicarci dalle tossine delle solite polemiche recenti, o semplicemente per respirare aria nuova: oggi e domani dalle 16:15, dalla Francia con sguardo rivolto al mondo, dovrebbe uscirne qualcosa di buono. Nella speranza che il calcio, oltre agli stadi, presti al rugby qualche spettatore in più.

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Matteo Portoghese