Il Twitter di Paola Saluzzi impallinato dall’indignazione e dal buon senso

Siamo tifosi di automobilismo da lustri, complice anche l’avere avuto, in famiglia, persone legate professionalmente a doppio filo con il mondo dei motori. La nostra è una generazione diventata adulta nel mito degli ultimi piloti caduti o gravemente feriti in pista: Niki Lauda, Ronnie Peterson, Gilles Villeneuve, Didier Pironi, Clay Regazzoni, Michele Alboreto (per citarne solo alcuni) fino ad arrivare a uno dei più grandi di sempre, mai alla guida di auto italiane ma degno della più grande ammirazione e morto, per ironia della sorte, in Romagna, nella terra dei sognatori e di chi vive con “e mutòr” nel sangue: Ayrton Senna.

Ci incuriosiva, da bambini, questo fatto di tifare per una macchina e non per delle persone. I grandi ci spiegarono che quella macchina, quel Cavallino, erano come una squadra di calcio: i piloti passavano, ma la Scuderia restava. Poi c’era la leggenda del Commendatore, e dei biglietti per il Gran Premio d’Italia che arrivavano sulla scrivania dell’ufficio tecnico di progettazione strumenti per auto della “Borletti” con il biglietto di ringraziamento firmato da Lui.

Siamo francamente rimasti scioccati leggendo il tweet di Paola Saluzzi che ha definito Fernando Alonso “#pezzodiimbecille”. Ironizzare, anche, sui vuoti di memoria subiti dal pilota a causa di un incidente avvenuto in pista è stata, poi, un’altra (pesantissima) caduta di stile.  Spiace doversi richiamare al passato, ma non riusciremmo proprio a vedere un Poltronieri o uno Zermiani scrivere cose del genere. E spiace aver visto, oggi, la difesa corporativa da parte di chi, in questi casi, chiede il rispetto del comportamento privato della giornalista. A chi lo fa, dalle colonne di un giornale di proprietà di una casa automobilistica, ricordiamo che il comportamento privato di un personaggio pubblico è un commento fatto al chiuso delle pareti di casa o in una serata fra amici, riportato contro la volontà di chi lo ha espresso.

Jean Alesi ha fatto anch’egli del sarcasmo via Twitter, ma con il tono e il linguaggio che i piloti, da sempre, usano tra loro, nei box, nelle conversazioni private lontano da taccuini e microfoni. La sua colpa, averlo usato in un social network, e nella sua nuova veste di commentatore televisivo. No, signora Saluzzi, no Jean: non ci stiamo, questo gioco non ci piace. Sicuramente ci sono tifosi di motori beceri. Ma vanno emarginati, non sostenuti con tweet ammiccanti. Chi lavora in televisione non può e non deve, per nessun motivo, condividere la loro ignoranza sportiva. A un conduttore televisivo si chiedono, prima di tutto, preparazione tecnica, pacatezza, obbiettività. E sapersi destreggiare con agilità nei social network.

La “colpa” di Alonso è stato dire, nei giorni scorsi, cose che in fondo persino Marchionne, con le proprie scelte manageriali, ha avallato: e cioè che la macchina, lo scorso anno (e in quelli precedenti) non era vincente.  È stato anzi, rispettoso parlando di “secondo posto”: la Ferrari, lo scorso anno, il secondo posto poteva forse sognarlo. La Formula 1 non ha bisogno di ultras. Soprattutto, non ne ha bisogno negli studi televisivi. Sappiamo che la conduttrice televisiva si è affrettata a porgere le proprie scuse al pilota, cancellando il tweet incriminato. Ci auguriamo che sia stata una scelta convinta, e non di convenienza, per non irritare i vertici della televisione satellitare dove lavora.

Noi, che ricordiamo il Commendator Ferrari da vivo, possiamo provare ad immaginare la sua reazione se qualche suo collaboratore avesse usato toni di questo tipo con un pilota, oltretutto reduce da un incidente in pista. Da giovani ci eravamo ripromessi di non avere il rimpianto dei “bei tempi andati”: da adulti, possiamo solo ricordare alla signora Saluzzi (che è della nostra generazione) che per sapere per quale squadra tifasse Paolo Valenti, abbiamo dovuto attenderne la morte. È senz’altro più semplice immaginare per quale scuderia automobilistica di Formula 1 tifi una donna italiana con i capelli rossi: a Paola Saluzzi (alla quale auguriamo di tornare a condurre presto la propria trasmissione) e a chi esercita la sua professione chiediamo, però, deontologia e moderazione: la crescita della cultura sportiva del Paese passa anche attraverso i comportamenti dei conduttori televisivi.