Galeano, l’uomo che scriveva di Nasazzi

“Non lo passavano neppure i raggi X. Lo chiamavano el Terrible. – Il campo è un imbuto – diceva – e nella bocca dell’imbuto c’è l’area – Lì nell’area comandava lui”. Appena un abbrivio, poche parole e così Eduardo Galeano ci raccontava il capostipite della genia dei grandi difensori centrali uruguagi, il suo compatriota Nasazzi, leader carismatico dell’Uruguay anni ’30, i primi campioni del mondo. E attraverso il filo conduttore della coppa del mondo, nel suo “Splendori e miserie del gioco del calcio”, Galeano ci ha narrato la storia del pallone, intarsiandola di una dimensione omerica, dove Achille era Puskas, Ettore Maradona e così via, da Agamennone a Cruyff. Senza però dimenticare tanti altri personaggi meno noti, la narrazione di gesti tecnici che hanno fatto impazzire le folle e la dimensione extrafattuale del circoscritto calcistico, come nel caso dei Mondiali del ’78 in Argentina.
Oggi il cosiddetto ‘storytelling’ è penetrato attraverso le autostrade informatiche, la condivisione delle informazioni ha alimentato la narrazione a tutti i livelli, favorendo lo sparpaglio delle sementi informative. Dal web ai quotidiani, arrivando al luminoso esempio di Federico Buffa su Sky, la storia del calcio non manca di menestrelli esperti di affabulazione, competenti e preparati, capaci di incontrare un pubblico che non è più solo quello che sventolando il bandierone allo stadio se ne va, ma che pretende di leggere la storia materiale dei nostri tempi attraverso l’epos distillato dalle vinacce del pallone.
Ma ad indicare la strada, quasi vent’anni or sono, fu Eduardo Galeano, con il succitato testo. Oggi che se ne è andato, andrebbe ricordato anche per il resto dellla sua opera di scrittore, attento al continente sudamericano di cui narrava le vene aperte ai nostri tempi, ma in realtà la novità della sua narrazione calcistica è profondamente intrisa dallo spessore di una scrittura di ampio respiro, che tutto ingloba anche quando parla di calcio, capace di produrre un cambiamento letterario e dare impulso alla creazione di un vero genere. Certo, non mancavano giornalisti capaci di accompagnare la descrizione di una partita con un bello stile capace di mescolare l’accademico e il profano, come fu in Italia per Gianni Brera, oppure per Giovanni Arpino, scrittore che al seguito della Nazionale azzurra nel ’74 in Germania Ovest raccontò l’esperienza in “Azzurro tenebra”. Ma nel caso di Galeano si trattò di un percorso a ritroso, cominciato con la denuncia sociale e proseguito con la vulgata pallonara. Al suo successo si deve probabilmente il traino di tanta altra letteretura di genere, dai sudamericani Soriano e Cela, allo slavo Dimitrijevic (autore di “La vita è un pallone rotondo”, uno dei pochi testi calcistici editi dalla Adelphi), fino ai nostri più recenti e raffinati autori, come Sandro Modeo, il cui approccio analitico e scientifico all’epifenomeno calcistico, rappresenta la nuova frontiera della narrazione.
In molti avranno scoperto per la prima volta la Grande Ungheria o l’Olanda di Cruyff attraverso l’inchiostro della sua penna. Ma ancora più indietro nel tempo, con sensiblità da archivista illuminato, Galeano ha contribuito a immortalare i ritratti storici dell’uruguagio Andrade e del brasiliano Friedenreich, o dei meno noti idoli locali, Pedernera e Sanfilippo, compilando la prima raccolta di annales per la posterità. In “Splendori e miserie del gioco del calcio” arrivò sino all’edizione mondiale del 1994. Tra i suoi ultimi ritratti, Baggio e Romario. Era il momento storico in cui il calcio virava di netto verso un futuro dove il capitale finanziario e l’interesse economico si sarebbero presi a braccetto per spadroneggiare. Fu tra i primi a farlo notare, denunciando come i cartellini di tanti giocatori brasiliani fossero di fatto in mano a multinazionali del pallone e procuratori dalla provvigione facile.
Le storie di Galeano riportavano l’eco di una tradizione orale e della memoria condivisa, avevano il gusto dell’osteria e della compagnia, mescolavano la polvere di stelle di cui si ammanta la rappresentazione di ciò che non abbiamo vissuto, alla celia per le ricorrenze delle umane attitudini. Da oggi i fantasmi di Garrincha e Czibor, Nasazzi e Obdulio hanno perso il loro evocatore preferito. Almeno però, per andarsene, ha scelto un anno senza mondiale.

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Paolo Chichierchia