Se c’era un assioma inscalfibile nell’universo tennistico, fino a pochi mesi fa, era la certezza che quando il terreno si tinge di rosso l’uomo da battere è sempre lo stesso. Dal periodo d’oro di Federer fino a giungere all’attuale dominio di Djokovic i rapporti di forza si sono modificati, non sulla terra rossa che è rimasta per Nadal un porto sicuro nel quale costruire record e frustrare velleità avversarie.
Sono probabilmente due i dati che meglio rendono ragione di questa egemonia, tra le più incredibili della storia del tennis: i 9 trofei su 10 partecipazioni al Roland Garros, e conseguentemente le 66 vittorie su 67 partite disputate sui campi parigini. L’unico maldigerito commiato dal Philippe Chatrier è arrivato nel 2009 contro Robin Soderling, che quasi soffocato dal peso di una vittoria così prestigiosa (e da una forma aggressiva di mononucleosi) entro due anni si sarebbe eclissato dal circuito. In generale a stupire è sempre stato il margine di Nadal su qualsiasi avversario, Federer (soprattutto) compreso.
Il primo a dare la sensazione di poter spezzare questa egemonia è stato Djokovic nel suo irripetibile 2011: le due sconfitte consecutive inflitte allo spagnolo sulla sua superficie preferita a Madrid e Roma hanno fortificato nel serbo la sensazione di poter giocare ad armi pari con Nadal, e di poterlo battere. Dopo la caduta del regno di Montecarlo nel 2013 proprio per mano di Nole, anche il “Regime del terrore” parigino sembrava sul punto di crollare, ma le tre affermazioni di Nadal su Djokovic tra il 2012 e il 2014 hanno sancito una verità indissolubile: sul Philippe Chatrier il maiorchino non si può battere, non ancora.
Ma tornando al presente, se escludiamo un titolo minore a Buenos Aires il maiorchino non ha più vinto nulla dall’ultima finale disputata a Parigi: nel mezzo un infortunio, prestazioni balbettanti, i forfait agli Us Open e al Masters 2014 e un inizio di stagione al di sotto delle aspettative. Non si può negare che la continuità di rendimento abbia iniziato a fargli difetto, e il dato non dovrebbe stupire considerata la precocità della sua esplosione ad alti livelli e il logorio atletico al quale si è sottoposto negli anni; ma il dubbio ora aleggia anche attorno alla possibilità che Nadal possa tornare a esprimersi ai suoi livelli. E la posizione 5 nel ranking, mai così bassa dal 2005, ci restituisce un dato oggettivo impossibile da ignorare.
A onor del vero Nadal si era presentato ai nastri di partenza della primavera 2013 in condizioni molto simili: la sconfitta patita da Rosol a Wimbledon 2012 (che fa il paio con Kyrgios 2014), il lungo infortunio che ne pregiudicò il finale di stagione, un ritorno pieno di incognite sulle sue condizioni fisiche. Quella volta Nadal, però, dopo un breve assestamento vinse praticamente tutto: nell’ordine Roland Garros, Montreal, Cincinnati e Us Open (detronizzando Djokovic in finale).
La domanda ora sorge spontanea: Nadal può risorgere ancora? Ai piedi della stagione sulla terra battuta più incerta degli ultimi anni, le opinioni si rincorrono: per qualcuno questo Djokovic tornato a livelli vicini al 2011 è ormai maturo per vincere il primo Roland Garros, per altri il rosso è così terapeutico per lo spagnolo che riuscirà a confezionare l’ennesima impresa parigina. Impresa che sarebbe anche la “decima” della sua carriera, traguardo mai raggiunto da nessun tennista per un torneo dello Slam; un tabù sportivo simile è stato recentemente infranto dal Real Madrid , squadra di cui Nadal è grande tifoso, con la conquista della decima Champions League. Chissà che questo non costituisca la spinta decisiva per il maiorchino: appuntamento al Masters di Montecarlo per la prima, parziale, sentenza.