Home » Le indecisioni di Rafa Benítez

Ieri abbiamo parlato del lato positivo di questa Serie A: una Juventus che, dominatrice in Italia, pur non avendo la stessa potenza di fuoco di un Real o di un Bayern è ancora lì a giocarsela su tutti i fronti. Oggi è il turno di guardare a rovescio: a quel Napoli che non potrà riconfermarsi campione della Coppa Italia.

Fa una certa impressione riguardare le immagini a cavallo tra estate e autunno, e quelle di oggi: mesi fa Callejón sembrava inarrestabile, oggi è irriconoscibile (nove gol segnati, di cui otto fino al 1° novembre); mesi fa, Rafa Benítez era ancora il solito personaggio cordiale, con un sorriso sornione e la risposta pronta, mentre oggi è sostituito dal suo alter ego più meccanico, un pilota automatico fatto di parole preconfezionate («Abbiamo creato delle occasioni, e dobbiamo pensare che questa è la maniera per cambiare un po’ la fortuna, fare gol e vincere le partite»: ma davvero?) e di rabbia agghiacciata.

Fa specie notare in modo ancora più evidente la differenza con un anno fa, quando dalle fasce arrivava di tutto e di più: Insigne (autore della doppietta che ha deciso l’ultima finale di Coppa Italia, nella serata resa tragica dall’agguato di Tor di Quinto), Hamšík, Mertens, Pandev, Behrami… tutti portavano il proprio mattone a un gioco corale e spesso leggero, imprevedibile; con Gonzalo Higuaín pronto a mettere a frutto il gioco di tutti.

Quest’anno, parere personale, la squadra ha perso esperienza: Behrami e Džemaili, pur non avendo giocato che 45 partite in due, garantivano ampia conoscenza del campionato, oltre che gioco in quantità. Quest’anno David López è andato bene, de Guzmán qua e là ha mostrato buoni numeri, ma pensiamo anche alla flessione di Mertens (spumeggiante un anno fa, svanito oggi) e l’assenza di un piano-B come Pandev: i nuovi ingredienti saranno anche buoni, ma difficili da mescolare in una ricetta efficace.

Altra sensazione: dopo i 17 gol di un anno fa, si è pensato che Higuaín potesse essere la soluzione di tutti i problemi. Cioè: non il finalizzatore, ma il risolutore. E invece, come il resto della squadra, è andato a strappi: partenza lenta, ottobre e novembre di fuoco, flessione decembrina, decisivo a gennaio (suoi tutti e tre i gol che hanno steso Lazio e Genoa), poi scomparso dai radar.

Come lui, il gioco: dalle fasce arriva poco, Hamšík è un rebus (sulla trequarti troppo spesso si trova spalle alla porta: quando ha giocato da mezzala, partendo da dietro, sfruttava meglio le praterie che gli si paravano davanti), la difesa soffre di mancata copertura (David López è stato anche un baluardo, ma ha bisogno di colleghi di reparto a coadiuvarlo e con i piedi buoni, e in ogni caso non può tutto, come abbiamo visto col Palermo) e di difficoltà interne (Lulić su Ghoulam: Pioli non lascia niente al caso).

E quindi il terminale di tutto, il primo colpevole della situazione che si è venuta a creare (solo in campionato: in Europa League si è vista una squadra migliore). In due anni, cambiando fortune e giocatori, i punti deboli della squadra sono ancora tutti lì.

Ed è strano addossare la colpa proprio a Rafa Benítez, il miglior “perdente di successo” in attività: uno che ha vinto due volte la Liga, una coppa UEFA e una Europa League, una Champions League, una Supercoppa Europea, un campionato del mondo per club. Oltre a Coppa e Supercoppa col Napoli, ovviamente. In questo biennio, alla fine, ha perso soprattutto una cosa: quel sorriso sornione e leggero, quell’aria un po’ furba e un po’ bonaria. Se saprà riconquistarla, forse la squadra la smetterà di avvitarsi su se stessa e riprenderà a girare in avanti.