La delusione sul volto era di quelle difficili da mandare via. Figlia di un’altra brutta figura a San Siro, di un’altra partita non vinta davanti al proprio pubblico, del non aver battuto il Parma ultimo in classifica e disastrato di questo scorcio di stagione.
Il Roberto Mancini visto ieri dopo l’1-1 della sua Inter aveva la faccia di chi si prende tutte le responsabilità per dei risultati che non arrivano, ma che in realtà in cuor suo è profondamente deluso dai giocatori, che non lo capiscono, non lo seguono, non sentono l’importanza della maglia che indossano.
La seduta d’allenamento straordinaria e punitiva di ieri mattina, giorno di Pasqua, crediamo sia solo un antipasto di ciò che succederà nelle prossime settimane: Mancini si è stancato di certi atteggiamenti e di qualche giocatore, un profondo cambiamento di rotta in estate è, al momento, la soluzione più probabile. “Certe volte per vincere bisogna farla, una rivoluzione” — ha tuonato in mixed zone l’allenatore dell’Inter, qualche giocatore può già incominciare a preparare la valigia.
Chi, invece, se la prende con Mancini — a parer nostro — sbaglia. Mettere a confronto i numeri e la media punti tra l’Inter attuale e quella di Mazzarri o addirittura con il Milan di Inzaghi non è il punto di vista esatto. È vero che l’allenatore di Jesi ha avuto a disposizione un mercato di tutto rispetto (Brozović, Shaqiri, Podolski, Santon), ma è anche pur vero che cambiare la mentalità di un parco di giocatori che da un anno e mezzo giocavano con una filosofia di gioco difensivista e poco propositiva, dovendolo fare durante un campionato e senza una preparazione e ritiro estivo sotto la propria guida, è impresa a dir poco ardua.
La verità è che Mancini, ora come ora, non si può giudicare. Questi risultati, queste prestazioni deludenti, sono figli di un — lungo — processo di cambiamento all’interno di una squadra abituata da più di due stagioni (Stramaccioni e Mazzarri) a difendersi per poi colpire in contropiede, non avendo come obiettivo finale quello di creare un gioco propositivo e offensivo, in grado di farle prendere il possesso delle operazioni. Convincere i giocatori a correre in avanti anziché indietro è opera molto più difficile di ciò che si pensi.
Per raggiungere tale obiettivo non basta comprare giocatori forti, c’è bisogno del tempo necessario a creare quei meccanismi nella testa dei giocatori tali per cui un movimento diventi naturale e non figlio di un pensiero, che inevitabilmente fa perdere tempo e reattività. Quando la sua squadra giocherà a memoria, allora sì che l’opera sarà finita e il suo ruolo potrà essere oggetto di discussione. Ma adesso, in pieni lavori in corso, non ci sembra proprio il caso.
L’Inter è una squadra costruita da Mazzarri per un sistema di gioco che prevedesse la difesa a tre — o meglio, a cinque — e due mediani in mezzo al campo; plasmare una rosa del genere e farla adattare a un diverso sistema di gioco con la difesa a quattro e un centrocampo con doti propositive è pratica che richiede almeno un ritiro estivo e molta pazienza.
In fase di costruzione di un gruppo, nell’immediato, può succedere che renda di più il non-gioco di Inzaghi al Milan, tutto difesa e ripartenze, ma sul medio-lungo periodo è un progetto destinato a fallire, sempre. Con una mentalità del genere magari pareggi con la Roma o batti il Napoli, ma non getti le basi per il futuro, proprio perché rinunci a giocare. Mancini, invece, anche a costo di prendere qualche imbarcata (tipo a Torino contro la Juve, dove ha passato 60 minuti davvero difficili), cerca di far giocare sempre la sua squadra in maniera propositiva. Il fatto che non ci riesca, ancora, è del tutto normale: questione di meccanismi da oliare e di uomini inadeguati al ruolo, ma il vento cambierà.
Bisogna solo avere pazienza e fiducia, anche se dopo gli ultimi quattro anni non è così semplice.
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