La curva Sud contro la mamma di Ciro Esposito
La Curva Sud dell’Olimpico, vale a dire quella occupata dai tifosi più caldi della Roma, è considerata dagli esperti di Ordine Pubblico del Viminale una sorta di laboratorio. Laboratorio che, si spera (così si augurano i sopracitati funzionari), non faccia proseliti in altri stadi d’Italia. Questo perché la Sud, negli anni, ha cambiato pelle, costituendo un esempio unico in Italia: da blocco granitico, contraddistinto politicamente in modo chiaro, e con una linea univoca riguardo ai rapporti nei confronti della Società, è diventata un magma di gruppetti divisi ed indipendenti, a volte divisi da rivalità interne, risolte a “puncicate” (ferite da arma da taglio inferte in parti non vitali, di solito ai glutei). Proprio l’esatto contrario della situazione ideale, insegnata nelle scuole di Polizia quando si ha a che fare con gruppi organizzati di migliaia di persone: vale a dire trattare con pochi leader, carismatici o con alle dipendenze un efficiente servizio d’ordine.
Questo magma informe e difficilmente controllabile, a detta della Questura di Roma, è invece riuscito, sabato, a fare il miracolo: la curva Sud intera ha infatti esposto uno striscione gravemente offensivo nei confronti di Antonella Leardi, madre del tifoso napoletano Ciro Esposito, ferito lo scorso anno durante degli scontri avvenuti tra tifosi napoletani e romanisti fuori dallo stadio, in occasione della finale di Coppa Italia (che contrapponeva gli azzurri alla Fiorentina), e deceduto un paio di mesi dopo, a causa delle ferite riportate. Immediate le reazioni: si parla di inchieste della Federcalcio e, probabilmente, anche la Questura farà le proprie valutazioni, fermo restando che ogni operatore di Polizia, con un minimo di esperienza, sa che è praticamente impossibile intercettare questo tipo di striscioni, soprattutto in partite molto delicate e affollate, com’era quella di sabato.
Al di là, comunque, dell’aspetto relativo all’attività di Ordine pubblico, che sarà oggetto delle valutazioni da parte delle Autorità competenti, preme rilevare e commentare il peso del messaggio inviato dagli ultras. Che non è semplicemente un messaggio insultante: negli stadi (e nei palazzetti: i meno giovani ricordano senz’altro la gazzarra antisemita, inscenata a Varese nell’incontro di pallacanestro con il Maccabi Tel Aviv, a fine anni ’70) abbiamo letto e sentito di peggio. Ma questa volta gli ultras sono andati all’attacco di un nemico per loro potenzialmente mortale: quello che ha messo in dubbio la loro “cultura“.
Il tifo estremo è stato combattuto, in Italia, principalmente con la repressione di polizia, al punto che si è arrivati ad emanare anche normative al limite della legittimità costituzionale (per esempio con la creazione dell’istituto della “flagranza differita”). Gli ultras hanno così trovato l’appoggio di giuristi e di altre realtà (sindacali e politiche), che si sono sentite minacciate. La cosiddetta “mentalità ultras” si è sempre nutrita della propria “unicità”, facendosi anzi forte della repressione che, nell’opinione comune, è il crisma di ogni idea rivoluzionaria o, comunque, di cambiamento. “Ci reprimono, ci vogliono far tacere perché siamo scomodi” è una frase che abbiamo sentito (spesso a sproposito) tantissime volte, e nelle situazioni più svariate.
Antonella Leardi non ha mai chiesto repressione. Ha attaccato il sistema, ha messo in guardia le altre mamme, ha colpito al cuore la “mentalità ultras“. E lo ha fatto parlando, da mamma, ad altre mamme. Anche in televisione, invitata e percependo un rimborso spese. Non è diventata ricca a spese del figlio. Ma ha dato fastidio, molto di più della Tessera del tifoso. Perché ha coinvolto l’opinione pubblica. Perché ha costretto molti a confrontarsi, su questo tema, in famiglia. E tutti noi, nella vita, abbiamo visto uomini grossi come sergenti paracadutisti della Legione straniera messi a tacere da donne grandi un terzo di loro: le madri.
La mamma di Ciro andava delegittimata: una mamma che lucra sul figlio morto non è più una madre. Questo è il sospetto strisciante che doveva entrare nel cuore di altre madri. E questo è il piano. La risposta? Continuare a demolire la mentalità ultras (che si traduce, spesso, nel venti contro uno, nella tracotanza allo stadio e nei pianti da lattanti nel chiuso delle caserme, quando si invertono le proporzioni), in televisione e nelle scuole. La cultura sportiva è il vero nemico del calcio malato: coltiviamola, tutti insieme, ovunque possiamo.