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NBA – Personaggi 2015: Jimmy Butler, il coniglio rosa e una montagna di dollari

Serata noiosa a Tomball, Texas. Sicuramente non è venerdì sera, perché in Texas al venerdì sera si va alla partita della squadra di football del liceo, e non ci sono obiezioni che tengano. Jimmy e Jordan hanno perso i rispettivi padri per motivi diversi. Quello di Jimmy è da qualche parte, ma lui non sa dove e non lo saprà mai; quello di Jordan è al cimitero della contea. Jimmy non riesce a stare fermo, è un ragazzo iperattivo, ama il basket e le regole ferree che la madre di Jordan gli impone in casa. Quella serata è troppo noiosa e i due sedicenni devono farla svoltare in qualche modo.
“Jordan, tu non hai il coraggio di metterti il vestito da coniglietto rosa di Halloween e andare a fare la spesa al Wal-Mart!” dice Jimmy. Il fratello (fratellastro, o amico, fate voi) non si fa pregare: “D’accordo, ma tu non hai il fegato di andarci con i vestiti alla rovescia e girati.”.
Un minuto dopo Michelle Lambert vedeva suo figlio e l’amico entrare in macchina vestiti da idioti per andare a fare la spesa.

Famiglia allargata i Lambert: tre figli di Michelle (tra cui Jordan), tre del capo famiglia e uno, l’ultimo, di tutti e due. In più c’è Jimmy, che di cognome fa Butler ed è oggi titolarissimo nei Chicago Bulls in NBA.
La genitrice biologica lo caccia di casa a tredici anni: “Anche solo guardarti mi fa schifo!” e le porte di una vita da senzatetto si aprono davanti a lui. Tre anni di casa in casa, ospitato da amici o conoscenti, da compagni di scuola o dalle associazioni benefiche di Tomball, prima di sviluppare l’amicizia con Jordan e diventare l’ottavo figlio di Michelle.
Nonostante, in confronto alla sua vita precedente, casa Lambert sia molto simile al paradiso, Jimmy non eccelle né a scuola né nello sport. Entra in un junior college statale, una specie di “università di secondo livello”: non domina sul parquet (127esimo prospetto tra tutti i junior college d’America) ma tra gli atenei più famosi l’anno successivo spunta Marquette (Doc Rivers e Dwyane Wade tra gli alumni più riconoscibili); Michelle sceglie per lui perché è una ottima università dal punto di vista scolastico, non sportivo.

Quando Butler firma la lettera di intenti Buzz Williams, coach di Marquette che è andato a parlargli in una tavola calda texana, è talmente agitato da mandare il modulo via fax alla sede dell’università direttamente dal ristorante. Williams è al primo impiego importante da capo allenatore, e conta su Jimmy per portare la sua nuova squadra al torneo NCAA, cosa che i Golden Eagles faranno per tutta la permanenza del texano in squadra. Il secondo anno è quello magico: il numero 33 mette il canestro della vittoria contro UConn e contro St. John’s, due campi che fanno paura solo a nominarli.

Lo stile di gioco non può essere slegato dalla personalità del soggetto: “Mi sento sempre sfavorito perché ho vissuto per la strada, per quello quando fermo qualcuno sono molto felice”. Questo si traduce nel saper giocare almeno tre ruoli in attacco e difendere strenuamente.
Tom Thibodeau, che difensivamente è il più saggio allenatore NBA, non se lo lascia sfuggire e lo prende con la trentesima scelta assoluta, stupendo molti addetti ai lavori.
Jimmy si gira verso la bionda Michelle durante il giorno del draft: “Mamma, che numero vuoi che porti in NBA?” “Ma Jimmy, fa ciò che vuoi…” “No, me lo devi dire te”. Ecco il vecchio Jimmy, quello di Tomball, che ama il fatto che qualcuno gli dica costantemente cosa deve fare. Esattamente ciò che serve a un allenatore capace come Thibodeau.

Il resto è storia. Jimmy Butler incollato a LeBron James durante una serie Playoff del 2013 e che gli fa scendere vertiginosamente le percentuali (12% in meno di efficienza offensiva, 7% in meno al tiro rispetto alla stagione regolare). Jimmy Butler che ne mette 20 a partita con il 46% dal campo nella stagione attuale. Jimmy Butler che è riserva all’All-Star Game.
Ed è proprio qui che arriverà la vera prova per lui. Qual è il vero Jimmy Butler? Il ragazzo che durante le interviste ha lo sguardo fisso nel vuoto? Quello che gioca 48 minuti contro LeBron come un eroico soldato mandato al fronte in una missione suicida? Quell’uomo riservato la cui storia è divenuta di dominio pubblico solo dopo tre anni di college?
L’anno prossimo guadagnerà circa 3 milioni di dollari, l’anno dopo (da free agent) il massimo possibile, attorno quindi ai 23 milioni di dollari, con un incredibile garantito di 129 milioni nei successivi quattro anni.

Una cosa è sicura. Se il suo modo di giocare rappresenterà ancora la sua storia, tra cinque anni parleremo di uno dei giocatori difensivi migliori di sempre. Se invece Jimmy dimenticherà quella sera passata con Jordan al Wal-Mart vestiti da imbecilli, non chiederà più a mamma Michelle cosa fare e non si ricorderà da dove proviene, deraglierà.
E sarebbe un gran peccato.