C’era una volta Manaus
Che alla fine di marzo l’estate trascorsa ormai da otto mesi ci sembri lontana è nella norma. Tanto più se ripensiamo all’ultimo incontro tra Italia e Inghilterra, in quel di Manaus, nell’umido di uno stadio mondiale appena inaugurato e bello come un pappagallo tropicale. Non sembra ieri.
Si era ancora nella fase rem che prelude al sonno, prima di un risveglio quanto mai brusco sia per noi che per gli albionici rivali. Poteva succedere ancora tutto, la Germania portava seco l’ombra della classica meccanica pesante di gioco, il Brasile sembrava poter accendere il sambodromo a colpi di Neymar, la Spagna s’era appena affacciata sul tramonto oceanico del proprio regno calcistico.
Finì 2-1 per gli azzurri e il giorno dopo stampa e opinione pubblica portavano i segni delle occhiaie del dopodì di festa. A sventolare la bandiera azzurra, ritti sul cassero del bastimento azzurro e ignari della tempesta perfetta in arrivo dal Costa Rica, i due che più di ogni altro avrebbero pagato il naufragio a venire: Cesare Prandelli e Supermario Balotelli.
Già Prandelli. Con lui l’Italia ha superato due volte l’Inghilterra, prima agli europei, con merito e rigori, poi ai Mondiali. Ma vattelo a ricordare adesso, che solo a nominarlo, Prandelli, si rischia la scomunica per apostasia. Giusto perchè è la settimana della via crucis e siamo in tema. Grandi stagoni con la Fiorentina (anche in quel caso, il suo giubileo concomitò con un successo sugli inglesi, il Liverpool di Benitez), l’interesse di Juventus e Milan e poi la scelta della panchina azzurra. Troppo bello per essere calcio. Forse un giorno tornerà ad allenare dalle nostre parti Prandelli. E c’è da scometterci che dopo i primi risultati positivi non tarderà a formarsi una colonna di rivalutatori cortesi, professionisti dell’ “io l’avevo detto”, vecchi amici di recente acquisizione. Per l’intanto però, Prandelli può dormire tranquillo, il sonno degli olvidados.
Di Balotelli invece si parla ancora. Troppo ghiotta l’occasione di riversare sulle sue spalle larghe, ma pur sempre fatte d’osso poroso, ogni richiamo di cronaca e gossip proveniente dalle sue inquietudini di non più troppo giovane protagonista del decadentismo occidentale postmoderno. Approdato in Premier, non si è trasformato in soccer popstar, perso al bivio della crescita, dove evidentemente ha imboccato la strada senza uscita che affaccia sulla valle del senno di poi. Quella sera del 15 giugno però, di amici ne aveva tanti, tra i tifosi. Proprio come quell’altra sera di due anni prima, in cui rifilò un missile dalla distanza alla Germania.
A Manaus, Balotelli prese anche una traversa, con un mezzo pallonetto da distanza decentrata che se fosse stato appena appena più fortunato, ci avrebbe fatto cambiare la percezione dei suoi mezzi tecnici. Ma evidentemente il destino era in agguato su una traversa, capitò anche a Di Biagio, nel 1998. Per Balotelli, 11 gol in 17 partite, fino a quel momento. Di lì in poi, il black out, il dimenticatoio, la partenza per un altro mondo e grazie per tutto quel pesce.
Prandelli e Balotelli forse più di ogni altro hanno pagato quell’insuccesso e infatti oggi, allo Stadium, non ci saranno. Magari giocheranno ancora De Rossi, Chiellini e Barzagli, ma i reietti del Brasile saranno di fronte al televisore. Tutto da vedere se i vari Zaza, Immobile, Gabbiadini abbiano dato qualcosa in più alla Nazionale, ma comunque di sicuro hanno sporcato meno del rude boy venuto da lontano, lasciando l’ambiente come l’avevano trovato. Depresso.
Nè sta dicendo molto meglio a Conte, per la verità, sulla panchina azzurra. Costretto a rincorrere un secondo posto da disputare alla Norvegia, al centro di polemiche con i club che poca intenzione hanno di privarsi dei giocatori a scopo di stage azzurro, Conte fatica più del previsto a imporsi nell’ambiente. Il suo avvento ha rappresentato la carta vincente di Tavecchio, il rischio è che invece possa bruciarsi lui. Già capita di sentire in giro il refrain dell’ “uomo giusto al posto sbagliato”, si vocifera di dimissioni e si staglia la giustificazione preventiva che in fondo Conte è uno che “ha bisogno di senire la squadra giorno per giorno”. Verità e scusa al tempo stesso
Otto mesi dopo, tirando le prime somme, resta facile capire chi abbia pagato. Ma il cambiamento atteso, c’è stato davvero? A fine partita, ricordiamoci di chiederlo anche agli inglesi.