Formula 1 – Non è il nuovo Schumacher: è il primo Vettel
È stato un déjà vu, e allo stesso tempo non lo è stato. La vettura numero cinque, rossa, che arriva prima al traguardo; l’inno italiano preceduto da quello tedesco, per un pilota vincitore che immediatamente sotto il podio spicca un salto di gioia. Una scena che non può non mancare a ogni animo nostalgico.
Lo avevamo lasciato che in radio diceva «Ragazzi, forza Ferrari!», due settimane fa; adesso lo recuperiamo dopo urla scalmanate: «Yes, sì ragazzi! Oh… mi senti? Grazie mille, grazie, grazie… dài! Forza Ferrari!». Difficilmente Sebastian Vettel avrebbe potuto sperare in una partenza migliore, dopo che l’anno passato era andata peggio che male: per lui alla Red Bull, per la Ferrari in totale.
Anche Maurizio Arrivabene, uomo determinato ma dalla parlata lenta, è apparso emozionato: ha parlato di «Due grandi campioni, perché avete visto cos’ha fatto Kimi, una rimonta pazzesca… e una grande squadra che parte da Maranello e arriva qua. È un onore lavorare per questa… questa… per la Ferrari». E questo evidenzia una differenza: non è “una” scuderia, è La Scuderia. E anche il super-manager si scioglie alla prima vittoria in rosso, di fronte alle telecamere di tutto il mondo (a parole lo nega, ma si sente che non vuole crederci).
Qualche ingrediente si sapeva che c’era già: pilota nuovo, disegno complessivo della macchina gestito da James Allison, nuovi quadri dirigenti, nuovo muretto. E in Malesia c’era anche un circuito storicamente “amico”, ma ciò che più conta era che è molto probante. A Sepang c’è tutto: due lunghi rettilinei che richiedono potenza, curve larghe che necessitano di efficienza aerodinamica, e curve strette che richiedono trazione in uscita. E la SF15-T qui si è dimostrata equilibrata, guidabile e mai nervosa, nonché puntata in avanti (Kimi Räikkönen ringrazia).
E quindi ecco Vettel: alla quarantesima vittoria in carriera, e a gioire come se fosse la prima. Vero anche che, al netto dell’entusiasmo, non sarebbe stata vittoria Ferrari senza il suicidio Mercedes; messi alle strette, hanno dimostrato di essere umani. Soprattutto, alla prima difficoltà hanno operato scelte non del tutto razionali – cosa mai successa in tutta la scorsa stagione, tale era la loro superiorità.
Quella che ieri non si è vista. Per la prima volta c’è stato un sorpasso vero (non dovuto a guasti né a strategie) subìto da una freccia d’argento: al giro 22, Vettel passa Rosberg alla prima occasione (si ripeterà due giri dopo su Hamilton, che però rientra ai box). È andata bene: il divario resta, ma non è più incolmabile. Meglio: non lo è per la Ferrari, visto che le altre avversarie hanno chiuso doppiate (le Red Bull) o a oltre un minuto (le Williams).
Parla subito in italiano, Vettel, già in conferenza stampa: ringraziando squadra, Maranello e tifosi. E in questo il déjà vu non c’è proprio. Schumi lavorava tanto e parlava poco, in radio era chirurgico, si scioglieva solo durante la festa del podio; poi si chiudeva di nuovo in se stesso, e riprendeva a pensare ai prossimi compiti da fare, alla preparazione fisica, al settaggio per il GP successivo. Si è sciolto poche volte: il resto del tempo lo ha passato a testa bassa.
Seb è sì tedesco, ma di una pasta diversa. Più disposto a farsi conoscere, a mettersi in mostra, a zigzagare sul traguardo per festeggiare il ritorno al successo. Schumi era “coperto” da Briatore (e da un manager come Willi Weber); anche la carenza di notizie riguardo alla sua salute segue la trama della sua vita. Vettel invece fa da solo, e viene dalla scuola “volante” della Red Bull. Insomma, due caratteri diversi. Ma, finché a unirli saranno le vittorie in Ferrari, sarà facile dimenticarcene.