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C’è, nell’editoriale di ieri del nostro direttore Alex Milone, un passo che fa riflettere: la Nazionale tedesca è per Podolski un posto che conosce alla perfezione.

Ecco, davvero: nel trionfo della Germania ai mondiali brasiliani c’è lo sfondo di un lavoro durato anni e di un gruppo via via sempre più coeso, attraverso cadute sul più bello ma soprattutto una continuità nelle convocazioni, nella gestione tecnica, e nell’identità di gioco.

Lo stesso si poteva dire, pur con le differenze del caso, per il ciclo precedente della Spagna, un unicum nella storia del calcio europeo, perché capace di essere rivoluzionaria ma (anche) vincente, e di imporre che lo si voglia ammettere o no un marchio indelebile su questo bellissimo sport.

Ora, non tutti possono dire la stessa cosa. Non che sia per forza necessario, per vincere, un sistema (a volte ci si arriva di puro talento) ma, nel regno dell’estemporaneo che è il calcio delle nazionali, chi ha un’idea parte con una marcia in più. Chi riesce, costruisce una certa idea di squadra, stravolge poco le chiamate, convocando certi calciatori pure in periodi poco brllanti (vedi Podolski), non per (eterna) gratitudine ma in quanto funzionali al progetto, parte integrante del gruppo. Che non lavora quotidianamente come le squadre di club, ma a quel tipo di coesione e organizzazione deve ambire, in qualche modo (gli stage?): non ci arriva praticamente mai, per esempio, l’Inghilterra, tempio dell’improvvisazione mal gestita sotto Capello e Hodgson, ancora alla ricerca di sé stessa nonostante l’attuale guida tecnica sia in carica da diversi anni (o forse proprio per questo); ci arriva raramente l’Italia: nel 2006 ognuno sapeva cosa fare, ogni giocatore era parte di un tutto, nel 2010 di tale gruppo s’è rincorso (fuori tempo massimo) il fantasma, del 2014 non c’è bisogno di raccontare.

Ed è qui, allora, che deve lavorare Antonio Conte. L’urgenza è proprio questa, per lui e il suo staff: non cadere nelle provocazioni sugli oriundi (che erano antipatici quanto giocavano i Mondiali con due maglie diverse, questo sì), né una qualificazione che con l’attuale sistema è abbastanza scontata, a meno di cataclismi. Occorre, agli azzurri e alle altre realtà in ricostruzione e transizione – come la Francia, rimandata dopo il test dello Stade de France – spendere i prossimi mesi alla ricerca di un sistema-Italia, fare in modo che, tra un anno, un nostro editoriale scriva che la Nazionale è per tale calciatore un posto che conosce alla perfezione.

Dove ognuno sappia cosa fare, oltre al talento ci sia di più, e ci si trovi a metà tra spontaneità e organizzazione: così si vince nel calcio moderno, come in un club. Chiedete a spagnoli e tedeschi.