Il Gran Premio della Malesia festeggia quest’anno le diciassette edizioni in Formula 1. Inaugurato nel 1999, rappresenta il primo circuito della “Generazione Tilke”, definizione che indica i nuovi autodromi progettati da Hermann Tilke. L’ingegnere tedesco, padre di numerosi circuiti oggi presenti nel calendario mondiale, da Manama in Barhain a Shangai in Cina, da Yas Marina, vicino ad Abu Dhabi fino al Circuito delle Americhe ad Austin in Texas, ha sovente citato le caratteristiche del suo primogenito nelle creazioni successive, come si può ben notare confrontando le conformazioni degli autodromi della Cina e del Barhain.
Il primo a vergare il suo nome sull’albo d’oro fu Eddie Irvine, all’epoca in lotta per il Mondiale, aiutato nell’occasione da un secondo d’eccezione, Michael Schumacher. Questo singolare ribaltamento delle gerarchie compendiò una serie di singolari circostanze avvenute in quell’annata. La McLaren, apparsa fin dalle prime apparizioni di livello elevatissimo, a un certo punto della stagione, inanellò una serie di errori tali da permettere ai rivali italiani di approssimarsi in classifica. Le vesti di condottiero delle Rosse verso l’agognata vittoria mondiale furono però indossate dal secondo pilota, il Calimero su cui pochi avrebbero puntato, Eddie Irvine. Il capitano Michael Schumacher dovette infatti saltare alcune gare a causa della frattura alla gamba subita a Silverstone, vittima di un incidente spaventoso, ma fortunatamente meno grave di quanto apparve in diretta televisiva.
Il tedesco, fin dalle prove libere, mostrò un’istintiva facilità di guida e un’imbarazzante supremazia su un tracciato mai sperimentato; ma, fedele agli ordini di scuderia, scortò il compagno fino al traguardo. Il podio accolse la festante doppietta Ferrari, mentre il terzo posto di Mika Hakkinen parve delineare un avvincente finale di stagione, con il Gran Premio di Suzuka arbitro delle sorti mondiali. Il dopogara si arricchì però un’inaspettata appendice. Durante le consuete verifiche, i commissari rilevarono un’irregolarità di pochi millemetri nei deviatori di flusso sugli alettoni delle Rosse.
La decisione della FIA fu immediata: squalifica per le due monoposto, con immediato azzeramento dei punti ottenuti in gara per il Mondiale piloti e per il costruttori. Per i ferraristi si trattò di un repentino risveglio dal sogno iridato: la nuova classifica sanciva infatti la vittoria di Mika Häkkinen e della McLaren in entrambe le categorie. Sfumavano così le chimere mondiali del Cavallino Rampante, nel ventennale dell’ultimo trionfo iridato di Jody Scheckter, datato 1979. Alcuni tifosi cominciarono perfino a credere che una maledizione, condensata nella leggenda della “Maga di Maranello”, aleggiasse ormai sulla scuderia emiliana.
Un inatteso epilogo, emozionante quasi come un sorpasso all’ultima curva, sigillò la vicenda. La Ferrari inoltrò ricorso alla FIA e, in assoluta segretezza, presentò la sua memoria difensiva al tribunale di Parigi. Gli esperti e i giornalisti, intervistati per l’occasione dalla TV italiana, spiegarono che i legali avrebbero probabilmente sollecitato un atto di clemenza nei riguardi dei piloti, nella speranza di contenere i danni e lottare almeno per il relativo titolo.
In tarda serata il comunicato del presidente della FIA Max Mosley deflagrò come un rombo di motori sulla linea di partenza. La Ferrari venne assolta e le vennero restituiti tutti i punti: i legali delle Rosse non avevano implorato alcuna indulgenza, ma, in collaborazione con i tecnici, avevano dimostrato l’assoluta liceità dei flussi incriminati. A corollario di questo capolavoro strategico, sotto accusa finì il commissario autore del reclamo che, come da successive indagini, risultò essere in eccellenti rapporti con Ron Denis. Il destino si divertì così a infliggere un’ironica pena del contrappasso al patron della McLaren, sempre prodigo di giudizi taglienti sui “Furbi” italiani “Esperti di trucchetti e imbrogli”. Questi venne infatti indicato da più parti come uno scaltro direttore che non disdegnava metodi oltre la legalità pur di raggiungere i suoi scopi.
Il Mondiale si concluse con una vittoria salomonica: Häkkinen trionfatore fra i Piloti e la Ferrari finalmente vincente del Titolo Costruttori. Questo successo concluse il digiuno delle Rosse e sancì il primo dei trionfi del nuovo ciclo ferrarista dei primi anni 2000.