E così pare che l’anno prossimo il ChievoVerona, per gli amici semplicemente Chievo, disputerà il suo quattordicesimo campionato di Serie A negli ultimi quindici anni. Dopo la vittoria di ieri sera, infatti, i clivensi si trovano a quota 32 punti, a ben undici lunghezze di distanza dal terz’ultimo Cagliari: d’accordo, ci sono ancora dieci partite da giocare ma il buon senso dice che i gialloblù, al netto di cataclismi, si sono salvati anche stavolta. E, in realtà, se lo sono anche meritato.
Da anni si ironizza parecchio sul Chievo e sul suo non-gioco, al contempo volto a distruggere ogni capacità di fraseggio negli avversari così come di cercare sistematicamente la palla lunga per quello che era Pellissier fino a poco tempo fa e che oggi è Paloschi: il riferimento avanzato lontano, lontanissimo, che i gol, spesso e volentieri, se li deve inventare da sé perché la squadra ha altri compiti (difendersi). E via con un turbinìo di partite di qualità non proprio eccelsa, zero a zero come se piovesse e ogni santa stagione una spremuta da 40 punti che vale giusto giusto la riconferma nel massimo campionato italiano. Alcuni ci scherzano, altri ci piangono, in molti disprezzano (non senza qualche ragione, suvvia: le partite del Chievo molto raramente meritano d’essere guardate).
Fa quasi sorridere pensare che proprio la società di Campedelli, ormai associata a tutto quanto ci sia di esteticamente ripugnante dal punto di vista tecnico, s’era invece presentata in Serie A, al suo esordio di quattordici anni fa, con tutto un altro piglio e un gioco fisicamente frizzante e inaspettatamente sprezzante, non asserragliato e arroccato dietro come invece poi è diventato. Erano gli anni ruggenti di Delneri, Corradi e Marazzina, Corini e Cossato, Manfredini e il fu Eriberto. Altri tempi, decisamente.
Oggi abbiamo gli eredi di quella gloriosa stagione della squadra meno blasonata di Verona (nonostante sia stata capace di oscurare persino il mito dell’Hellas per anni), guidati da un Sergio Pellissier ancora in forma e piuttosto pimpante, nonostante la carta d’identità dica 1979 – cioè 36 anni; l’aostano è custode ultimo della leggenda clivense nata nella prima metà degli anni 2000 e, grazie a Calciopoli, culminata con i preliminari di Champions League nella tarda estate del 2006 (e visto che al destino il senso dell’umorismo non manca mai, l’annata iniziata con così tanta aspettativa finì in tragedia con la retrocessione in B, l’unica della storia gialloblù). Anche questo ricordo, a ben pensarci, pare lontanissimo oggi.
Il presente, si diceva, ci regala l’immagine di una compagine che, ancora una volta, si riconferma all’altezza della Serie A nonostante sofferenze, sconfitte e qualche patimento. Corini, salvatore della patria veronese a più riprese, non ingrana mai – al netto ovviamente dell’ormai abituale sgambetto al Napoli – e dunque al suo posto ecco arrivare Maran: il mister trentino, che ai Mussi ha legato indissolubilmente la carriera da giocatore, non sembra poter riuscire ne miracolo di salvare un Chievo che pare veramente spacciato. Eppure, tra alti e bassi, dall’inizio di febbraio in poi qualcosa scatta: dalla sfida col Parma a quella col Palermo si parla di quattro vittorie, due pareggi e un solo ko (l’Empoli di Sarri…). Quattordici punti che, sommati ai diciotto accumulati precedentemente dicono 32 in totale, a questo punto della stagione praticamente il 95% della salvezza.
Perché anche quest’anno, una volta di più, il Chievo s’è salvato.