Parma, la spiegazione della procedura di fallimento

Il caso Parma sta scuotendo il “moribondo” calcio italiano. Sfruttiamo l’aggettivo usato dal presidente Andrea Agnelli qualche mese fa per compiere un’indagine sul procedimento fallimentare previsto dall’ordinamento giuridico italiano.

LE PROCEDURE – La legge fallimentare, introdotta in Italia col regio decreto n.267 del 16 marzo 1942 su ispirazione statunitense, ha come obiettivo l’acquisizione immediata della denuncia dell’imprenditore in crisi economica. Nel nostro sistema giuridico sono previste cinque procedure concorsuali, aventi le caratteristiche di universalità (è colpito l’intero patrimonio del debitore) e concorsualità (sono coinvolti tutti i creditori): fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria e ristrutturazione industriale di grandi imprese, quest’ultima espressa dalla Legge Marzano del febbraio 2004.

IL PRECEDENTE Il Parma, come tutti ben ricorderanno, è già inciampata in una rifondazione. A fine 2003, dopo che la Consob ebbe effettuato delle ispezioni ai bilanci della Parmalat (l’azienda controllante), si evidenziò una parziale ma funesta situazione della società: gli iniziali sette miliardi di euro di debiti salirono al doppio dopo che luce fu fatta su ogni lato oscuro della vicenda. Sebbene i reati contestati furono di falso in bilancio, bancarotta fraudolenta e aggiotaggio, la Parmalat si salvò dal fallimento con una delle suddette procedure concorsuali: l’amministrazione straordinaria. Lo Stato e Banca Intesa finanziarono Parmalat per garantire la continuità aziendale, l’allora AC Parma si trasfuse nel Parma FC e la Legge Marzano consentì alla neonata società di aspettare il giusto acquirente: Tommaso Ghirardi e la sua celeberrima Eventi Sportivi.

L’ATTUALITÁ Il resto è storia recente: Ghirardi non si fa più vivo, il direttore Leonardi lascia ogni incarico per problemi di salute e l’amministratore unico Manenti finisce in carcere – assieme ad altri ventidue indagati – la mattina del 18 marzo 2015 per reimpiego di capitali illeciti, peculato, associazione a delinquere, frode informatica, utilizzo di carte di pagamento clonate, riciclaggio e autoriciclaggio aggravato dal metodo mafioso.

LA RISOLUZIONE DEL CASO – La procedura applicata è il fallimento. Legittimati ad agire sono uno o più creditori, il Pubblico Ministero o il debitore stesso. Una volta che l’imprenditore ha depositato i bilanci degli ultimi tre esercizi, il tribunale, prima di emanare la sentenza, verifica la presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi di fallimento: essere imprenditore commerciale in stato d’insolvenza e con un’esposizione debitoria di almeno 30mila euro. La pronuncia del giudice adito produce effetti immediati nei confronti del fallito, il quale perde l’amministrazione e la disponibilità dei propri beni patrimoniali, nei confronti della società (gestita da uno o più curatori) e infine verso i creditori. A questo punto la procedura fallimentare incontra una fase di apprensione dei beni del debitore, l’accertamento del passivo (218 mln di euro), la monetizzazione del patrimonio del fallito e, solo eventualmente, la ripartizione del ricavato dalla liquidazione dell’attivo fra i creditori.