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Inutile agonia: quella di Inzaghi al Milan. I tifosi fanno bene a essere arrabbiati, per una squadra che procede in modo approssimativo, approssimando più che costruendo un disegno di gioco (se Destro viene comprato apposta, e poi con il Chievo viene ripescato quel Pazzini che col mister non ha mai legato). E anzi: rispetto a tutte le uscite rossonere del 2015, ieri si è visto un gioco più solido e a tratti anche concreto, con il peccato (fatale) di non avere cercato di chiudere i giochi in anticipo.

Quindi complimenti e tre punti a Montella, e solo complimenti a Inzaghi. Il quale continua ad andare avanti, giorno dopo giorno, nel mentre si continua a sentire il ritornello che la prossima partita è decisiva: come se fosse vero, come se la squadra non fosse al decimo posto, a dieci punti di distanza dalle coppe europee.

Di chi le colpe? Un po’ di tutti: di chi lo ha scelto; di chi ha sopravvalutato una rosa che non è da qualificazione alle coppe (e che è più che altro un insieme di figurine, senza un preciso disegno tecnico alle spalle), e dell’allenatore che non è riuscito a migliorare il gruppo (con le scelte di mercato, e col gioco). Se ne 2015 il Milan ha portato a casa lo scalpo pieno solo del Parma e del Cesena, l’autocritica dev’essere complessiva e sincera.

E per autocritica intendo qualcosa di ben diverso dalle uscite politiche di un Salvini. Ci vuole il coraggio di dire che si è navigato a vista, sperando che qualche nome nuovo (prima era Seedorf, ora è SuperPippo), una specie di stregone, riuscisse a trovare la quadratura del cerchio. Il che è come sperare di diventare milionari trovando per terra un biglietto della lotteria. Pensarla così non dà dignità a nessuno.

E poi, diciamoci la verità: chi mai potrebbe sedere, oggi come oggi, su quella panchina? Non certo Ancelotti, inspiegabilmente caduto in disgrazia a Madrid (4 titoli in un anno solare, tra cui la Décima; e quelle 22 vittorie consecutive che facevano presagire l’inizio di una dinastia). Restando nel limite della credibilità, da almeno un anno gira il nome di Montella, mentre negli ultimi giorni è salito agli onori delle cronache l’empolese Sarri.

E anche qui occorre porsi due domande: se c’è l’allenatore, c’è anche il progetto tecnico? C’è un disegno per snellire e rinnovare la rosa, e soprattutto per supportare il lavoro del mister di turno? Altrimenti chiunque finirà per trasformarsi in uno scaldapanchina, e la prossima è decisiva e così via.

Scenario possibile: Sarri (sponsorizzato da Arrigo Sacchi, pare) sulla panchina rossonera. Il nome giusto al posto giusto? Beh, sicuramente il suo Empoli ha gioco e identità, e un regista di nome Valdifiori (non sarà Pirlo, ma un regista il Milan proprio non ce l’ha: l’avevamo già sottolineato). Ma, soprattutto, ha avuto il tempo per perdere tante partite, prima di trovare il bandolo della matassa: nell’autunno 2012, l’inizio è stato da quattro punti in nove partite.

Eppure lo hanno aspettato: quarti alla fine, e promossi dodici mesi dopo. Al Milan potrebbe godere di così tanto credito? Questa è la prima domanda da farsi (ancor prima di chiedersi se sia in grado o meno di gestire giocatori di caratura superiore). Alex Ferguson (di un’altra pasta, lo so) ha potuto attendere sette anni per la prima Premier League. Nel mentre, ha costruito e fatto crescere una generazione di giocatori che hanno segnato la fine del secolo. A Milanello avranno mai questa pazienza? Parte della risposta si saprà anche quando verrà ufficializzato il nuovo socio (di minoranza o più): energie nuove, e magari nuove idee.