Mi auguro che ognuno di voi abbia visto “Vizio di forma”, l’ultimo film di Paul Thomas Anderson, basato sul romanzo di Thomas Pynchon. In caso contrario, la storia è ambientata nel 1970 e tratta di Doc Sportello (no, il portiere dell’Atalanta ha una “i” in più), bizzarro investigatore privato, perennemente fumato, che si imbarca in una storia assurda, dai risvolti spesso grotteschi e confusionari. Mai sono uscito dalla sala così felice di non aver capito nulla: non sapevo ricollocare metà dei personaggi apparsi nei titoli di coda, ma mi trovavo in un universo tutto mio, totalmente slegato dalla realtà che mi circondava; roba che per trovare la macchina ce ne ho messo. Questa precisa idea registica di Anderson ha chiaramente spaccato l’opinione dei fruitori: c’è chi ne è rimasto innervosito e chi, come me, ha fluttuato in un caleidoscopio per i seguenti tre giorni.
Wolfsburg-Inter mi ha ricordato le stesse sensazioni provate al cinema. Con la differenza che, se Mancini ha voluto deliberatamente questo effetto, va applaudito e poi rinchiuso. Il mio cervello ha rotto i ponti con la realtà, come se avessi fissato troppo a lungo una lampada lava, sempre per restare in tema 70’s. La visione della partita ha prodotto mille sentimenti, mille sensazioni. Soprattutto una domanda: “Cosa ho visto?”. Esattamente come per “Vizio di forma”. Tanto è strano guardare un film in cui il regista fa di tutto per scombussolarti, tanto lo è assistere a una gara in cui nulla va come logica vorrebbe.
Non si inizia certo bene: Vieirinha terzino. Va bene, mi sorprende, ma posso ricordarmelo. Si prosegue col gol dell’Inter, bello, rapido, coi difensori a passeggio. Ma è uno di quelli a pareggiare. Perché esiste Naldo? Perché mai un difensore dovrebbe essere più decisivo nell’area avversaria, piuttosto che nella sua? Poiché stravolgere un assioma del calcio è il punto di partenza di questa partita, che diventa folle, squilibrata. Esattamente come l’Inter, che si scorda non solo come organizzare il gioco, ma addirittura che lo scopo del calcio non è fare di tutto per perdere. Le idee vanno riordinate. Non ci siamo. Ci pensa Mancini: difesa a tre, entra Vidić; quattro a centrocampo, con Shaqiri dietro le punte. Due gol nel quarto d’ora seguente. No, forse non va.
Nel frattempo: Palacio ha cinque secondi per prendere la mira, ma centra l’angolino dalla parte sbagliata (forse credendosi al tiro a segno) e Carrizo ha un attacco di daltonismo sia nel passare la palla a Vieirinha, sia nel credere che Luiz Gustavo faccia parte dei suoi compagni in barriera. Allora torniamo indietro, pensa il Mancio: si ritorna a quattro in difesa. E davanti? Non lo capisco. Esattamente come Luiz Gustavo e Guilavougui non capiscono perché sono in campo: nessuno crea centralmente. Esattamente come i terzini nerazzurri non capiscono cosa fare. E per terzino intendo anche Juan Jesus. Che ha fatto il terzino a fine gara. Forse. Esattamente come Icardi non capisce perché firma un assist all’inizio, per poi sparire. Anche Knoche si preoccupa della sua scomparsa. Forse un rapimento. O il richiamo della moglie di Schürrle.
Esattamente come i centrali dell’Inter non capiscono la dannosità dei passaggi corti orizzontali in mezzo all’area, in pratica, come fornire due registi in più ai tedeschi. Esattamente come i loro avversari non capiscono perché mai giochino in 14. Esattamente come Kuzmanović non capisce perché diavolo sia entrato in campo. Forse per vincere 3-1 almeno nel conteggio dei serbo-croati. Esattamente come De Bruyne non capisce come abbia messo a segno due gol e un assist, festeggiati anche da Christian Träsch. Ah, ma è in campo? Sì, Vieirinha è salito a fine primo tempo. C’è il tedesco in difesa. Träsch. Bene. Dost borbotta. C’è pure Bendtner. Oddio, lui? Esiste ancora! Triplice fischio. Tè caldo per tutti. Confusi?
Wolfsburg-Inter, directed by Paul Thomas Anderson.
Buona fortuna per trovare la macchina!