Luci, rimpianti e gol in trasferta

A livello europeo le partite durano 180′, se non di più. Spesso impressioni e dati dell’andata contano, ma i cavalli si contano al palo e tutto può mettersi in discussione da un momento all’altro. È una questione di inerzia, soprattutto per una regola dei gol in trasferta che fornisce un dato di partenza ma non è nulla di insormontabile: chiedere al Chelsea, apparentemente in controllo dopo l’1-1 di Parigi eppure fuori dalla Champions League, nonostante l’uomo in più per gran parte del match di ritorno.

Ecco, questo per dire che sì, l’andata conta ma il giudizio è meglio sospenderlo. Siamo giunti in una fase che ti misura la stagione, te la salva o te la boccia. Accanto agli altri obiettivi (con la Juventus saldamente in vetta, c’è da piazzarsi per giocare la prossima stagione a livello continentale), l’Europa del giovedì è diventata roba seria: vincendo il doppio derby con la Fiorentina la Roma potrebbe tornare a gridare, il Torino vuol vivere un sogno atteso per vent’anni, l’Inter diventar grande, e il Napoli allontanare lo spettro e l’assillo dell’inseguimento della Lazio.

Rispetto a questi contesti e queste situazioni, i primi 90′ degli ottavi di finale ci fanno scrivere di luci, ombre e rimpianti. Le luci sono quelle della sera, soprattutto quelle del San Paolo; rispondono, dopo la paura e lo shock di Kuranyi al 4′, al nome di Gonzalo Higuaín, bomber di caratura veramente mondiale. Gol belli, decisivi, da leccarsi i baffi e i partenopei, mai sazi e forse desiderosi di scaricare la frustrazione della rimonta subita dall’Inter, ne hanno cercato pure un quarto, visto l’uomo in più. Ma è finita 3-1 ed è una seria ipoteca sui quarti e avvicina Varsavia, vero obiettivo insieme a quello minimo del terzo posto, o della Coppa Italia.

Se insomma Rafael Benítez è asso di coppe e dà il meglio nel football infrasettimanale, lo stesso non si può dire di Roberto Mancini. Carriera di tutto rispetto, ma tanta fatica in Europa, anche quando Inter e Manchester City sganciavano assegni di quelli pesanti. Figurarsi adesso, che i nerazzurri vivono tutt’altro momento storico e tocca arrangiarsi con ciò che c’è. Il 3-1 della Volkswagen Arena è figlio degli errori individuali ma (a pensar male) ricorda la presunzione dei pronostici della vigilia (di parecchi utenti di siti popolari), quando non si sa in base a cosa in molti hanno snobbato il Wolfsburg, seconda forza di un torneo che ha mandato quattro squadre su quattro agli ottavi di Champions, rimanendo comprensibilmente sguarnito in Europa League (ma il luogo comune è che “in Germania oltre al Bayern fanno tutte pena“). Né c’è da consolarsi (o minimizzare) per via di un ko arrivato per errori individuali: a livello internazionale le ingenuità di Carrizo e Vidić non sono tollerabili, né la solitudine di Naldo sul colpo di testa. Stupisce che in una fase delicata come gli ottavi di finale sopravviva l’usanza del “portiere di coppa” ma tant’è: Inter chiamata all’impresa a San Siro, contro la seconda in classifica del campionato tedesco. E chi è causa del suo mal…

Ai patemi dei nerazzurri si sono aggiunti quelli del Torino, che però a inizio stagione aveva altre ambizioni. A San Pietroburgo, divario netto e mai in discussione, allargato dall’espulsione di Benassi. Difficile, con una rosa costruita sostanzialmente per salvarsi o al limite per la metà sinistra della classifica, reggere in 10 al Petrovsky: magari un altro atteggiamento avrebbe aiutato, ma evidentemente Ventura ha pensato di poter costruire sulla riduzione del danno, pensando al pienone dell’Olimpico.

Il piatto forte era ovviamente quello del Franchi, in quel derby italiano simbolo perfetto dell’impatto della Serie A su questa edizione della manifestazione. Una gara a due facce, con colpi di scena, alcune chiamate arbitrali dubbie, ed errori censurabili. Da capitano di giornata ha tradito De Rossi (suo l’errore su cui nasce l’1-0 di Iličič) e anche Ljajić ci ha messo del suo, eppure la Roma l’ha rimessa in piedi, mettendo in cascina un preziosissimo pari con gol. Se il Paris Saint-Germain insegna che i gol in trasferta all’andata non sono tutto, la Fiorentina dovrà andare all’Olimpico a giocarsela a viso aperto, nella partita che si prospetta la più bella della stagione: il nervosismo di Montella nel dopo gara conferma la delicatezza dell’appuntamento, specie dopo la scoppola con la Lazio.

Comunque vadano le gare di ritorno, resta la sensazione che soprattutto per Inter, Roma e Fiorentina da questi 90′ passi (gran) parte della stagione. Il Napoli, a meno di cataclismi, ha i quarti in tasca; il Toro, anche in caso di eliminazione, ha vissuto un sogno già bello di suo. Poi per passare da sogno a leggenda ci sono altri 90′: l’ambizione è gratis e spesso aiuta a raggiungere vette impossibili, ma viene davvero difficile pensare a uno Zenit fuori dopo il secco 2-0 di San Pietroburgo.

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Matteo Portoghese