Ai piedi del Guaro
Quante cose cambiano in poco più di un anno. Da emarginato a elemento imprescindibile del gruppo, la storia di Fredy Guarin all’Inter è molto particolare e interessante in tutte le sue sfaccettature. Perché non capita tutti i giorni di essere praticamente venduti alla Juventus ma, per volere del pubblico, ritrovarsi ancora all’Inter. Dover quindi ricostruire tutti i rapporti, le relazioni anche con i tifosi stessi che, più di volerlo ancora a Milano, contestavano la contropartita che i bianconeri avrebbero spedito volentieri in Lombardia: quel Mirko Vucinic che, oggi, è sparito dai radar del calcio che conta.
Continuità. La chiave dell’insuccesso di Guarin nell’Inter di Mazzarri è sempre stata quella: con Stramaccioni prima e Mancini dopo, infatti, ha inanellato numerose ottime prestazioni consecutive. Tanti palloni persi, fuori dal gioco e spesso fuori posizione, per non parlare delle conclusioni da fuori area: a volte solo imprecise, ancora più spesso direttamente fuori dallo stadio. Verrebbe quasi da dire che, per caratteristiche, per inquadrare il tipo di prestazione offerta da Guarin nell’arco di un campionato, forse, è necessario guardare più il numero di gol segnati; quella forza dirompente gli permette di essere granitico quando subisce il contatto dell’avversario, potendo poi contare su una capacità di corsa con pochi eguali tra i centrocampisti in Serie A. Se poi non rendi concreta la giocata con un assist o un gol, però, tutto diventa fine a se stesso. E in questo va dato grande merito a Roberto Mancini di aver aggiustato un giocatore che l’Inter, poco meno di un anno fa, stava scambiando per briciole: oggi è un centrocampista che può cambiare il volto dei nerazzurri o, nel caso in cui cambiassero i piani della società, divenire in ogni caso pedina di scambio oppure oggetto di sacrificio per arrivare a giocatori come Yaya Tourè.
Cercando di trarre qualche conclusione circa il rendimento di Guarin, è impressionante come abbia giocato praticamente tutte le partite – da quando Mancini siede nuovamente sulla panchina meneghina – e questo non ha minimamente intaccato le sue prestazioni. Sintomo di una condizione fisica straripante e, soprattutto, nuove energie mentali che gli hanno fornito gli stimoli giusti per mettersi in gioco e lasciare alle spalle quella che, probabilmente, è stata la stagione più brutta della sua vita: un mondiale passato molto più che nell’anonimato e una quasi cessione nel curriculum. In cosa può migliorare il colombiano? Restano ancora molti aspetti da limare: in primis la capacità di fare la scelta giusta quando ha il pallone tra i piedi, cosa che nell’arco dei novanta minuti non spesso avviene, seppur negli ultimi tempi i tanti tiri tentati si siano trasformati in assist – o presunti tali – verso gli attaccanti. Ma soprattutto il tecnico di Jesi dovrà lavorare sulla competenza tattica del centrocampista, sui movimenti da mezzala e le scalate difensive (argomento che spesso si trasforma in tragedia in casa nerazzurra).
Se l’obiettivo terzo posto è pressoché tramontato, adesso Guarin deve dimostrare di essere decisivo anche in Europa, magari trascinando i nerazzurri contro il Wolfsburg: una vittoria che farebbe comodo sia ai nerazzurri che all’Italia, in ottica ranking UEFA, contro una delle squadre più accreditate ad arrivare in fondo. Ma con Guarin, si sa, le vie di mezzo non esistono: sarà croce o delizia?