Twitter è sempre fonte di ispirazione, più delle partite in sé. Le partite, poi, fanno da corollario; ma la tesi iniziale, quella che ti fa partire tutta quella sequenza di idee che servono per scrivere un pezzo, parte da una normalissima discussione tra due utenti su questo social network.
Ieri sera stavo guardando Napoli-Inter, come ogni appassionato di calcio e di Serie A. E, nel mentre, scorrevo la mia TL (Time Line, per i poco avvezzi al social network in questione), leggendo distrattamente i tweet delle persone che seguo, tra una foto di Kaká e David Villa a Orlando per la prima partita della MLS e un’imprecazione di qualcuno per gli errori di quelli in campo a Napoli.
Quando, a un certo punto, segna il Napoli con Hamšík su evidente errore di marcatura di Juan Jesus; su Twitter, tra chi insulta il difensore brasiliano e chi festeggia per il gol napoletano, spunta un’interessante conversazione tra due utenti, @Dan_Maze e @symdona, sulla pochezza tecnica dei difensori centrali in Serie A dell’ultimo periodo. E, oltre a interessarmi parecchio l’argomento, mi ha fatto pensare.
Il campionato italiano, una volta, era definito — oltre che quello più bello — anche quello con i difensori più forti del mondo calcistico, solitamente italiani. Senza andare troppo indietro nel tempo, nel nostro decennio d’oro tra il 1990 e il 2000 abbiamo avuto in Nazionale gente come Bergomi, Ferrara, Baresi, Costacurta, Maldini, Nesta, Cannavaro, Materazzi, mentre in Serie A giocavano giocatori del calibro di Thuram, Sensini, Mihajlović e l’elenco potrebbe continuare per decine di nomi. Quelli che una volta definivamo “comprimari”, buonissimi difensori senza essere fuoriclasse, nella Serie A moderna probabilmente sarebbero osannati come i dominatori incontrastati delle aree di rigore.
Va bene, il calcio negli ultimi vent’anni ha subito delle modifiche sostanziali, tra velocità stessa del gioco, tra atletismo dei giocatori e regole del fuorigioco. Ma quello che sembra guardando le partite di calcio — e i due errori di Juan Jesus sui gol nel Napoli sono soltanto gli ultimi di una serie di esempi da poter citare — è che i difensori centrali non sappiano più marcare. Tutti fisico-corsa-forza o eleganza-tecnica-lancio lungo; ma l’arte della marcatura stretta e dell’uno contro uno dov’è finita?
Parliamoci chiaro: a parte Chiellini e Bonucci, che quindici anni fa non sarebbero nemmeno stati convocati in Nazionale, quanti difensori “forti” (e per “forti” intendo “forti nel difendere”) vedete i Serie A? Manolas, De Vrij, a volte Savić e Gonzalo, Castán (che però non gioca da quasi una stagione), forse Glik. E poi? Il nulla, se non piccole speranze italiane come Rugani e Romagnoli, che promettono davvero bene. Ma non basta.
Forse è colpa della “zona”, che ha fatto disimparare e disabituare i difensori al contatto fisico con l’attaccante avversario. Ma la qualità difensiva delle nostre squadre è raccapricciante. E il problema, forse, è anche di chi si siede in panchina e li allena tutti i giorni.