Home » Intanto, in Europa…

Un sabato strano, quello appena trascorso. Nessuna partita di Serie A è andata in scena, infatti: il Parma sta andando incontro al suo desolante destino, mentre a Genova il derby della Lanterna è stato rinviato a causa di condizioni meteo avverse. La morale finale è che tra l’anticipo del venerdì tra Juventus e Atalanta e le partite delle 15,00 di domani passeranno ben 42 ore e un quarto, per un campionato che è sì dilazionato in varie portate come un pasto di pregio ma che, anche, s’è trovato di punto in bianco a dover rinunciare al secondo.

Mentre quindi le bocce sono rimaste forzatamente ferme da noi, è stato impossibile impedire al nostro sguardo di valicare i confini italici per posarsi all’estero e guardare cosa succede in Europa. Tanto per cominciare, si nota che Evian-Lorient, in Ligue 1, è stata rinviata come il derby di Genova. Anzi, non proprio: in Francia il teatrino rinvio-ci penso-guardo il rimbalzo un paio di volte-sospendo-alla fine rinvio davvero non c’è affatto stato perché è stato immediatamente preso atto che non c’erano le condizioni meteorologiche adatte a disputare una partita di calcio dopo la forte nevicata che ha investito Thonon-les-Bains. Alle 17,29 si sapeva già che non si sarebbe giocato, con minimo disagio di pubblico e addetti ai lavori (la partita era prevista per le 20,00).

Un confronto impietoso con quanto successo nel capoluogo ligure.

Andando oltre e concentrandoci a forza sui fatti squisitamente di campo, sono due i risultati più eclatanti di ieri: le sconfitte di Manchester United e Barcellona. Per la serie così lontani, così vicini, le similitudini tra Barça Red Devils non sono poi così poche: entrambe vengono da un passato recentissimo di enorme successo – durante il quale si sono anche incontrate spesso e volentieri, perlopiù in finale di Champions League – ed entrambe sono alle prese con la ricerca di un nuovo corso, una necessità di ripartire riazzerando quel che è il trascorso (gli esperti di fumetti direbbero reboot). Ma le analogie non finiscono qui.

Entrambe le squadre sono, di fatto, al secondo anno di “nuova vita” dopo che gli allenatori più vincenti della storia dei club hanno lasciato le panchine dell’Old Trafford e del Camp Nou (Vilanova era sostanzialmente in strettissima continuità con il verbo di Guardiola: definirlo come “cambio di guida tecnica” rispetto a Pep non è vero al 100%; il guardiolismo è finito solo con Gerardo Martino), ed entrambe hanno fallito la scelta del primo tecnico che avrebbe dovuto proseguire sulla scia del successo (chiedere appunto al Tata, ora CT dell’Argentina, e a David Moyes, attuale mister della Real Sociedad). Non solo, sia lo United sia il Barça hanno iniziato l’anno balbettando per poi trovare continuità più o meno da novembre a ora, se non nel gioco, perlomeno nei risultati.

Vincendo, anche se magari non convincendo, Red DevilsBlaugrana si sono saputi riportare in quota nelle rispettive classifiche nazionali, cullando ambizioni di podio i primi e addirittura di titolo i secondi.

Ieri, la doccia fredda.

Due squadre che nonostante massicce campagne acquisti attuate quest’estate non sono ancora calcisticamente mature e che paiono costantemente sciogliersi sul più bello. Il Barcellona è addirittura caduto in casa contro un Málaga spaventosamente cinico, autore di una partita perfetta in difesa e in chiaro debito con Dani Alves, autore dell’errore decisivo; lo United s’è limitato a venire sconfitto dallo Swansea in Galles, peraltro dopo essere andato in vantaggio: Gary Monk ha fatto 6/6 punti disponibili quest’anno contro van Gaal, chapeau.

Insomma, i classici giganti coi piedi d’argilla. Non basta poter schierare contemporaneamente Rooney, van Persie, Falcao, Mata, Blind e Di María oppure Iniesta, Messi, Neymar, Suárez, Mascherano o Rakitić per poter vincere: qualcosa in sede di costruzione della squadra va rivisto, sia per van Gaal sia per Luis Enrique, perché il giocattolo ha una bellissima confezione, talvolta scintilla, più spesso porta a casa la posta ma, tendenzialmente, lascia perplessi anzichenò perché, in fondo, non sembra mai completo. E se non sei completo, nel calcio, non vinci.