Ferite aperte

Quando si parla di Roma, lo ammetto, non sono obiettivo. E non parlo della squadra, ma della città. Ci ho trascorso, a spizzichi e bocconi, almeno tre anni di esasperante semipendolarismo: tre giorni qui, due lì, due là, dividendomi tra l’Urbe e la Toscana. E nel mezzo, per dirla con Leopardi, tra le sudate carte di me si spendea la miglior parte. A Roma ho lasciato qualche amico, qualche pensiero, e una volta anche un pezzettino di cuore. E qualcuno, ben prima di me, vi ha lasciato ben di meglio: Caravaggio, Raffaello, Michelangelo, il Bernini.

Mai stato un assiduo frequentatore di Campo de’ Fiori, mentre a Piazza di Spagna e dintorni ho svernato ogni volta possibile (mica fesso). Mai granché sopportati i finti antichi romani: più che un segno della gloria che fu, sono la dimostrazione della colonia che siamo; più che forza, piacioneria. Vero è anche che qualche parallelo tra l’antica Roma e lo sport moderno si può trovare: si tratta solo di decidere se il paragone vada creato tra gladiatori e calciatori, o tra gladiatori e teppisti (in italiano moderno hooligan).

Roma ha tanti problemi (specie se sei un pedone, come me). Si dice: è sporca, non sai dove sederti, e spesso è vero. Vedere piazza di Spagna piena di rifiuti, con persone che prendono bottiglie a calci e lanciano fumogeni in pieno centro, è una ferita aperta. Per cosa, poi? Per questa partita (peraltro finita senza incidenti: sarà stato un caso?).

Lo sport è (o dovrebbe essere) tante cose: valori, educazione, festa, sfida leale. Ma tutto il resto è un contorno che la dice lunga sullo stato a cui siamo arrivati. Come italiani?, come olandesi? No, come occidentali, e probabilmente direttamente come umani.

Quindi parliamone: per la seconda volta in pochi giorni, non di sport, ma di ciò che ci gira attorno. E facciamolo con la dovuta dose di autocritica, anche. «Noi non andiamo all’estero a fare queste figuracce, a distruggere le città», ha dichiarato giovedì sera il presidente del consiglio, Matteo Renzi. Duole dirlo, ma ha ragione: facciamo direttamente in casa. Noi siamo quelli che si fanno comandare da Genny ’a carogna. Siamo anche il paese di Mafia Capitale. Sempre pronti a indicare negli altri i nostri difetti.

Difetti tipo non andare d’accordo con noi stessi. No, niente sociologia da salotto: solo un calcolo pragmatico. Del genere di: se gli esercenti dei municipi I (Prati, Trastevere, Testaccio), II (Parioli, Flaminio, Villaggio Olimpico) e XV (La Storta, Foro Italico, Tor di Quinto), sotto ordinanza prefettizia, sono obbligati a non vendere alcolici tra le 20 e le 24, c’è qualcuno a disposizione per controllare che non ci siano abusivi in piazza? Chiaramente no: a Campo de’ Fiori ringraziano. E – appunto – dobbiamo andare d’accordo con noi stessi: se tagliamo sulle forze dell’ordine, queste sono le conseguenze. Pensiamoci su: vogliamo i tagli, o la sicurezza?

Giusto per dire: a danneggiare la statua della Barcaccia sono stati i tifosi olandesi, vero. Ma siamo sicuri che sia questo il problema? Voglio dire: come cittadini (e come elettori) ci siamo mai realmente occupati e preoccupati dello stato in cui versano le meraviglie del nostro paese? Se non riusciamo a difendere la nostra memoria e la cultura che abbiamo ereditato, allora non ne siamo degni. Come prima città d’Italia, Roma è una ferita aperta. E, dopotutto, il Colosseo ormai è pieno di buchi.

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Pietro Luigi Borgia