Parliamo di calcio e dunque tutto può sembrare relativo se diciamo di stipendi non pagati, di società in difficoltà, di problemi economici. Nel mondo del pallone, di milioni ne girano tantissimi, c’è ricchezza generale, benessere comune; ma quando ci sono tanti soldi, c’è anche tanto rischio che tutto crolli da un momento all’altro, come già successo in passato, come accaduto in questo momento al Parma.
Inutile riepilogare ciò che è successo, ne abbiamo parlato e riparlato, lo abbiamo letto ovunque. Ghirardi ha lasciato un buco enorme nelle casse societarie, e Manenti, giunto come salvatore della patria, si trova ora con un debito ingente sul groppone, e con una responsabilità bella pesante da gestire. Perché la mora è dietro l’angolo, i tesserati non prendono lo stipendio da mesi, e tutto è a terra, tutto è nero, tutto è a rischio, tutto è assurdo.
Perché sì, è assurdo che un presidente – soprattutto se a capo da anni di una società – intuisca che si sta iniziando a percorrere una strada angusta e non faccia nulla per evitarlo. E’ assurdo che un presidente, che conosce benissimo le dinamiche dirigenziali, veda che la rotta presa porta giù nella cascata, e non in un mare in cui, dolcemente, si riesce a sfociare.
Parma vive un periodo buio. Parma città – nel giro di pochi anni – ha visto prima la Parmalat (la principale azienda del territorio) fare crack, e adesso sta assistendo al declino della squadra di calcio che ne porta il nome. L’onore, quello, lo stanno tenendo alto comunque, i giocatori: vedere il pari coriaceo con la Roma della scorsa giornata, dimostrazione efficace. La paura, però, è che anche l’onore presto pagherà dazio.
Parma, adesso, si aggrappa a Manenti, un presidente nuovo, un presidente che non conosce il calcio: mondo difficile da vivere, da gestire, da condurre per mano verso la salute mentale ed economica. Salute, appunto: quella che sembra aver perso il dg Leonardi, già due volte ricoverato in questi giorni per ipertensione.
Per adesso, l’augurio da fare a Parma squadra e città è di credere nel detto, vero e antichissimo, che vuole la “spes ultima dea”. Sarebbe bello però sussurrarle, presto, un ben più felice e ambizioso “ad maiora”.