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Alle volte, bisogna anche fare un po’ di autocritica. Ne avevamo parlato tre mesi fa, del modello italiano da imporre: e avevamo preso Ciro Immobile a esempio di un movimento che, incapace di guardare al futuro, poteva comunque provare a esportare la manodopera (sperando così di arricchirne l’esperienza, per poi incassare dividendi più avanti nel tempo).

Ciro Immobile quale esemplare di italiano di successo, da esportazione: avrebbe dovuto raccogliere la pesante eredità di Robert Lewandowski, il miglior prodotto di una scuola polacca altrimenti in crisi (ultimo mondiale nel 2006), dopo metà stagione (e sole tre reti) credo si possa dire che non c’è riuscito. Sfiduciato sia dai tifosi che dal suo mister (Jürgen Klopp), per una classifica che piange (Borussia terzultimo). Onestamente: non sarà il primo a deludere, non adattarsi, sbagliare.

Giusto per citare un altro italiano da esportazione è… l’argentino Osvaldo, passato da erede di Batistuta (anche nel soprannome: se Batigol era il Re Leone, lui lo chiamavano Simba) a oggetto sconosciuto. Scuola argentina, ma doppia nazionalità e quindi carriera italiana: poca delizia (gol veri principalmente con Espanyol e Roma) e tanta croce (pugno a Lamela, gomitata a Matheu, insulti ad Andreazzoli, …) per uno che il senso della porta ce l’ha, la testa meno. Notizia di questi giorni il passaggio al Boca Juniors: fa specie pensare che si possa essere così incostanti e scostanti all’età di 29 anni. Tanto da tornare “a casa”, e non da vincitori.

Cose in comune tra Immobile e Osvaldo? Attese non indifferenti; avventure all’estero; ruolo di prima punta; direi che poi però può bastare. Quindi passiamo al prossimo esempio: Bryan Cristante. Internazionale già nel nome, in estate è passato al Benfica per 6 milioni (e un pacco di insulti a Galliani): attese alte, fino a un mese fa era quasi diventato un oggetto misterioso. Solo quattro presenze in campionato (nessuna da titolare fino a gennaio; nessuna in totale tra ottobre e novembre), ai margini delle rotazioni.

Poi però si vanno a guardare due o tre dettagli, e si capisce che la storia è meno semplice di quanto non sembri: sotto la guida di Jorge Jesus sono sbocciati fior di centrocampisti, ma per nessuno la via è stata facile. Due esempi: Nemanja Matić, oggi titolare nel Chelsea di Mourinho, nella stagione 2011/12 collezionò solo 7 presenze piene (altre quattro volte fu sostituito — le prime tre direttamente all’intervallo), carburando lungo la stagione e completando la trasformazione da regista a interno difensivo; oppure Enzo Pérez, appena ceduto al Benfica, che in quella stessa stagione fu rimandato (rispedito indietro all’Estudiantes, in prestito).

È il potere della concorrenza: finché davanti c’è qualcuno più in gamba di te, puoi solo marcarlo stretto e imparare. Un passo alla volta, il giovane Cristante ha avuto spazio nelle coppe nazionali portoghesi (un mese fa il suo primo gol lusitano, contro l’Arouca) e gode della fiducia del mister (lo usa col contagocce, ma di lui ha detto che crescerà ancora).

Rapidissimo calcolo: Cristante, un anno fa, in due presenze da titolare ha messo a segno un gol e un assist, in Italia. Adesso “fatica” in Portogallo. Parallelo: Immobile è stato l’ultimo capocannoniere della Serie A, e ora è sfiduciato a Dortmund. Forse è la prova di due fatti: il primo è che abbiamo aperto il campionato a stranieri di ogni fattura, abbassando il livello del nostro campionato (per un Dybala che esplode, quanti sono solo carneadi?); il secondo è che si diventa migliori proprio quando si lavora per superare le difficoltà.

Italiani viziati? Forse. Di sicuro, disabituati alla vita da emigrante del calcio, non avvezzi a cambiare stile, abitudini, referenti, riferimenti. Per Immobile si dice che il Liverpool stia alla porta; altrimenti il Milan. E allora lo diciamo: forza Reds. Tornare a casa senza aver raccolto neanche un alloro sarebbe uno schiaffo; è l’ora di aprirci al mondo, una volta per tutte. O, almeno, è l’ora di provarci, di insistere fino a consumarsi. Con umiltà e convinzione.